Padova. Luca Favarin non è più «don»: «Sono stato diffamato, resto tra gli ultimi. Un figlio? Forse, un giorno»

Continuerà ad occuparsi della cooperativa, dei migranti, dei carcerati. L'ex parroco si è sentito diffamato da chi lo definiva imprenditore

Giovedì 24 Agosto 2023 di Silvia Moranduzzo
Luca Favarin

PADOVA - «Ho fondato la mia vita sul Vangelo e così proseguirà. Un figlio? In futuro potrei adottarlo». Don Luca Favarin non è più prete. Da ieri in avanti sarà Luca. Già sospeso a divinis, ieri è arrivata la comunicazione ufficiale: non fa più parte del clero. Lui, il prete degli ultimi, il prete di strada, è un cittadino come tutti gli altri. «Sono sereno, preso dalle cose di ogni giorno» assicura Favarin. Al contempo, non risparmia parole molto dure. Sui social scrive «Non ho nulla di cui vergognarmi», «In coscienza non voglio avere nulla a che fare con chi, senza essere mai venuto a conoscere e capire, giudica le cose che facciamo come attività imprenditoriali». E ancora «Tutto questo in Italia si chiamerebbe mobbing e diffamazione».

Quando tutto è cominciato

Era metà dicembre quando Favarin annuncia di voler lasciare la Chiesa. Tra lo sconcerto di molti. Due i motivi che lo spingono a quella decisione: è favorevole sia alle unioni tra persone omosessuali sia ad una legge per il fine vita. La Diocesi prende atto. Favarin viene sospeso a divinis, il che significa non poter dare la comunione, confessare e dire messa. Una naturale conseguenza della richiesta presentata dall’allora prete. Ma sembra esserci di più. In una nota del 17 dicembre la Diocesi di Padova precisa: «Per quanto riguarda l’agire in campo sociale, le iniziative di don Luca Favarin, per quanto pregevoli, sono personali e non pensate, condivise nè maturate insieme alla Chiesa di Padova. In particolare sul fronte dell’accoglienza dei migranti la Diocesi di Padova ha scelto di non porsi come “gestore” diretto delle accoglienze, ma di affidarsi a cooperative sociali qualificate». E più avanti: «La scelta di Luca Favarin si è, invece, indirizzata diversamente, in forma autonoma e personale, sfociando in attività imprenditoriali su cui più volte la Diocesi ha chiesto informazioni, condivisione e trasparenza». Fino alla puntualizzazione finale: «Non è vero che la Diocesi di Padova, attraverso i suoi rappresentanti, non abbia mai visitato le realtà afferenti a don Luca Favarin».
«Sono venuti a portarmi la fotocopia del decreto.

Pensa te, la fotocopia – dice Favarin – Sulla vicenda sono molto sereno, è andata così, certo la modalità è infamante».

Le accuse

Favarin mentre parla è in auto, sta andando a fare la vendemmia con i carcerati. Uno dei tanti appuntamenti della giornata. «Dire che io sono un imprenditore poco trasparente è diffamazione – sottolinea – Finchè per 25 anni ho riempito le chiese e le casse della chiesa andava tutto bene, ero il figlio amatissimo. Quando ho iniziato a usare risorse che procuravo da solo, pagando le tasse, per aiutare i disgraziati allora divento un imprenditore poco trasparente. A parte che non sono un imprenditore ma presiedo una cooperativa – precisa – L’imprenditore fa i soldi per sé, gli utili della cooperativa servono alla cooperativa stessa per andare avanti. Parole simili sono accuse gravissime, un’offesa a me e a chi lavora con me». Di presentare denuncia non ci pensa nemmeno. «Non ho tempo da perdere con questa gente che mi ha trattato così. Me l’hanno detto in tanti ma la mia vita va avanti».

L'addio

Favarin si dice sereno ma nella sua voce trapela il dispiacere. Una piccola vena di tristezza, quella che si percepisce quando gli altri non capiscono ciò che fai. «Mi dispiace molto, 25 anni è un terzo della mia vita – dice Favarin – non è che son qua a cantare e ballare il boogie-woogie. Ma non ho nulla di cui vergognarmi. Mi hanno detto che quello che faccio nulla ha a che fare con la Chiesa e non sono mai nemmeno venuti alla sede che sta a 10 minuti dal centro di Padova. Sono molto tranquillo, non sono arrabbiato, non sono deluso, nemmeno ho le aspettative infrante perché con questa gente non c’è da avere aspettative». E aggiunge: «Tantissime altre persone sono state trattate allo stesso modo, laici e non. È una prassi consolidata nei decenni».

Favarin è stato anche cappellano del carcere Due Palazzi. Nel 2014 nasce la cooperativa Percorso Vita onlus che si occupa soprattutto di prostitute, carcerati e senzatetto. Poi ha allargato il raggio d’azione ai migranti accolti al Kidane Campus ad Altichiero. Ma si contano anche ristoranti, la gestione della caffetteria del Museo Eremitani attraverso i quali tanti richiedenti asilo sono riusciti a inserirsi nel mondo del lavoro.

Una nuova vita

E ora? Comincia una nuova vita che è sempre la stessa. Una vita tra gli ultimi, identica alla settimana scorsa e a quella prima ancora. Con un’unica differenza: non c’è il “don”. «Cambia la forma ma non la sostanza» dice Favarin. Che sui social scrive a sorpresa: «Magari poi chissà un giorno avrò pure voglia di un figlio accanto ai tanti arrivati dal mare...». C’è un figlio all’orizzonte? L’ex parroco scoppia a ridere. «Non ho figli, potete stare tranquilli – sorride – Era un modo per intendere la totale libertà che avrò ora senza giudicare il passato, negarlo o recriminare. Ora non avrei fisicamente il tempo ma forse un giorno potrei adottarlo. Sono tantissimi i ragazzi passati dalla nostra comunità, potrebbe essere una nuova e bellissima esperienza. Forse, un giorno...».

Ultimo aggiornamento: 19:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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