Padova. Favarin, da sacerdote a produttore vinicolo: presenta il suo nuovo vino frutto del riscatto di detenuti e migranti

«Si chiama Servite: termine importante per la gastronomia, ma anche verbo sacro che richiama al servizio nei confronti di poveri e ultimi»

Venerdì 9 Giugno 2023 di Gabriele Pipia
Luca Favarin mentre stringe tra le mani la sua nuova etichetta

PADOVA -  “Se io sarei”. “Siccome che”. “Ma però”. “Più meglio”. “C’è nè”. “A me mi”. I sei tipi di vino prodotto prendono tutti il nome da errori grammaticali. «Le persone che finiscono in carcere vengono considerate degli errori della società e allora noi con questa iniziativa vogliamo dimostrare che si può sbagliare ma si rimane sempre persone» racconta alzando metaforicamente un calice Luca Favarin, l’ex prete di strada che questa sera presenterà ufficialmente la sua nuova etichetta vinicola realizzata grazie al lavoro di molti detenuti, alcuni addirittura ergastolani e con regime di alta sicurezza. Da sacerdote a imprenditore agricolo per solidarietà, con l’aggiunta del titolo ufficiale di sommelier: ecco la nuova vita di una delle figure religiose più note (ma anche più discusse, soprattutto all’interno della Diocesi) di tutta la provincia di Padova.

Nuova strada

Favarin, sacerdote dal 1998 fino a pochi mesi fa, ha chiuso il suo rapporto formale con la Chiesa dopo la netta spaccatura dello scorso inverno quando la Diocesi, «pur riconoscendo lo spirito umanitario e solidale che anima il suo operato», contestò alcune le sue fatte «a titolo personale» e non concordate con i suoi superiori ecclesiastici. Favarin decise di chiudere la porta della Curia prendendo la propria strada. Una strada diversa ma mirata sempre alla stessa meta: lavorare con gli ultimi e con i fragili.

Come in quest’ultimo caso.

L’appuntamento

Favarin, cinquantenne, ha conseguito il diploma di sommelier un anno e mezzo fa. Oggi 9 giugno dalle 18 al “Ristorante etico Strada Facendo” di via Chiesanuova a Padova sarà presentato il risultato di un percorso partito tre anni fa, quando era ancora prete, con la sua onlus Percorso Vita. «La mia storia con la Diocesi di Padova è terminata, io continuo per la mia strada con il cuore in pace. Sono tranquillo, sereno e felice - racconta -. Questo progetto è partito tre anni fa piantando un vigneto nella terra aridissima che gestiamo ad Altichiero. Il progetto è nato all’interno della mia onlus Percorso Vita e ci siamo dati una veste legale con l’azienda agricola Percorso Terra. Abbiamo prima bonificato i terreni con un’attenzione maniacale all’ambiente e alla biodiversità e poi abbiamo piantato l’uva. La lavorazione è stata quotidiana e ha coinvolto non solo detenuti ma anche migranti e minori in situazioni complesse. Almeno 25 persone in tutto. I carcerati escono per lavorare la terra e poi rientrano in carcere. Spesso sono considerati scarti della società, ma qui fanno prodotti di altissima qualità».

Le tipologie

La nuova etichetta si chiama “Servite” e il nome lo spiega lo stesso Favarin: «È un termine importante per la gastronomia visto che vengono serviti i primi piatti, i secondi, il dolce. Ma è anche il verbo sacro della vita, quello che richiama al servizio nei confronti dei poveri e degli ultimi». L’obiettivo è produrre diecimila bottiglie di vari tipi, dallo Chardonnay al Pinot nero. «Abbiamo creato una rete di una ventina di volontari con figure specializzate, dall’enologo alla grafica. Due persone dal buon cuore ci hanno messo a disposizione le loro cantine sui colli, una per i vini bianchi e una per i vini rossi, mentre noi abbiamo comprato le botti e tutto il materiale utile al lavoro».

I protagonisti

Favarin vede sui campi persone con storie di ogni tipo e tra chi si rimbocca le maniche c’è pure chi è in carcere già da trent’anni. «Non contano i reati che hanno commesso o le storie che si portano alle spalle ma solo il loro modo di lavorare. Non c’è alcuna selezione. Chi esce dal carcere arriva qui portandosi dietro rabbia, rancore, pensieri. Qualsiasi sentimento. Ma qui si impegnano». E alla fine arriva la retribuzione: «Mediamente dai 1.000 ai 1.200 euro netti al mese in base alla quantità di lavoro - continua l’ex don -. Prendersi cura delle piante è terapeutico perché è rilassante. Lavorare in campagna in mezzo alla natura per me è la cosa più bella del mondo». Il progetto si sta ingrandendo sempre più. «I carcerati rappresentano la colonna portante del progetto ma non ci sono solo loro. Tantissime persone ci danno una mano e c’è chi ci ha prestato altri filari a Gambellara, Nanto e Costabissara nel Vicentino».

L’obiettivo

Stasera verrà presentato il primo frutto di tre anni di lavoro. «Mi piace l’idea di entrare nelle case delle persone con questo progetto dal così alto valore sociale - conclude Favarin -. Venderemo sia con spedizione diretta tramite il corriere sia in diversi locali di alto livello. Abbiamo già contatti con Roma, Milano e con la Costiera Amalfitana». Il costo delle bottiglie sarà di 12 euro. «L’incasso sarà utilizzato per pagare i detenuti e per ampliare il progetto» spiega Favarin. Il vino per lui resta un elemento cardine, sia nella sua vita da prete sia adesso. «Il valore è lo stesso, dal punto di vista umano e dal punto di vista cristiano. Il vino è convivialità».

Ultimo aggiornamento: 16:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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