Il mondo delle barche bonsai di Gilberto: i suoi lavori in scala, perfetti in ogni dettaglio e figli di quell'antica tradizione della Serenissima

Martedì 2 Febbraio 2021 di Vittorio Pierobon
Il mondo delle barche bonsai di Gilberto: i suoi lavori in scala, perfetti in ogni dettaglio e figli di quell'antica tradizione della Serenissima

Gilberto Penzo, 67 anni, veneziano, è un artigiano del legno specializzato nella realizzazione di prototipi in scala di ogni tipo di imbarcazione lagunare. Nel suo laboratorio vengono ancor oggi create perfette riproduzioni di navi mercantili o scafi da pesca recuperando l'antica tradizione della Serenissima marineria. «Oggi è un lavoro difficile».


IL PERSONAGGIO


Il bisnonno, paron Giovanni, e il nonno Nello, costruivano grandi imbarcazioni, soprattutto bragossi, nello squero di famiglia a Chioggia, il Bullo Niere, situato sull'isola dei Saloni vicino alla calsinara, la fabbrica di calce.

Lui, Gilberto Penzo 67 anni, quarta generazione di artigiani del mare, ha ridotto le dimensioni, costruisce modelli. «Attenzione a non fare confusione - precisa con garbata vis polemica - I modellini sono quelli da collezionisti o appassionati di bricolage, tutti perfettini, belli, lisci e lucidi, ma senza alcun rispetto delle proporzioni. Io realizzo modelli, il prototipo in legno che precede la costruzione. Una barca bonsai. Come un bambino, non è un adulto in scala ridotta, ma sviluppa prima alcune parti del corpo, così in un modello le dimensioni vengono ridotte seguendo tre scale differenti. Nedis Tramontin, il grande maestro d'ascia, mi ha raccontato che una volta un americano gli ha ordinato una gondola in scala dimezzata, lunga solo 5,5 metri. Quando l'ha finita quasi non stava a galla. Le proporzioni e le misure hanno un senso». 


GRANDE ESPERTO

La prima lezione è servita. Penzo è un'enciclopedia vivente della storia marinara veneziana, come attesta una decina di libri pubblicati, veri e propri trattati, frutto di ricerche filologiche. È la sua vita. Da tempo lo squero di famiglia è chiuso. Lui ha rimpicciolito anche le dimensioni del luogo di lavoro. Ha una bottega e un laboratorio in calle dei Saoneri a Venezia. «Resisto all'avanzata dei cinesi», scherza con amarezza. Costruisce piccoli natanti, rigorosamente rispettosi delle tecniche e dei materiali originari. «Ho progettato più di cento modelli di imbarcazioni veneziane. Una volta si usava una barca diversa per ogni tipo di pesca. Faccio tutto da solo, pezzo su pezzo. Per una gondola servono otto tipi di legno diverso. Per il bragosso uso bulloni quadrati fatti a mano. Potrei utilizzare quelli industriali fatti in serie, tanto poi vengono coperti e non si vedono, però mi sembrerebbe un tradimento». 


PRESTIGIO INTERNAZIONALE

I suoi modelli, anche se non solcano le acque, viaggiano molto. È richiestissimo («Per forza sono l'unico in Italia») anche all'estero. Suoi pezzi sono esposti in musei negli Stati Uniti, in Germania, Giappone e in chissà quante collezioni private. Ma Gilberto Penzo non si limita a costruire i modelli, progetta anche barche di dimensioni reali e coordina restauri di antichi scafi. «Nel 2014, il direttore della Reggia di Venaria, Alberto Vanelli, mi ha dato l'incarico di ricostruire e allestire l'armo velico della Peota Savoia, l'imbarcazione d'onore della casa reale. Un lavoro affascinante e non facile, perché non esistono disegni o quadri che raffigurino quella barca. Ora è esposta nel museo di Venaria».

 
ARTIGIANO PREMUROSO

Penzo è un solista del lavoro, non ha aiutanti e nemmeno allievi. «Non è possibile prendere un apprendista, ammesso che si trovi un giovane interessato a questo tipo di lavoro che si fa con le mani e non con il computer. Le norme sono proibitive, i costi esagerati. Ti arriva un giovane in bottega che non sa neanche la differenza tra un'ascia e una manera, tra una dolaora e una pialla, e tu perdi tempo a insegnare e il lavoro non va avanti. E poi ci sono disposizioni di legge assurde. Qualche anno fa avevo preso in laboratorio due stagisti che avevano fatto un master di archeologia a Ca' Foscari. Due ragazzi molto preparati e interessati. Purtroppo erano un maschio e una femmina. Ho dovuto mandarli via, perché la legge mi imponeva di avere un bagno per gli uomini e uno per le donne». 


IL TRABACCOLO

Quando Penzo era giovane, era tutto più facile (ma privo di tutele), si andava a bottega, senza essere pagati, a rubar coi oci. Lui è un autodidatta, ha imparato dagli artigiani di Chioggia e poi a Venezia ha lavorato con gli ultimi squeraroli: «Ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino Nedis Tramontin e Nino Giupponi, due grandi maestri d'ascia che mi hanno insegnato molto». Evidentemente l'allievo è stato all'altezza. Negli anni la sua bottega è divenuta punto riferimento culturale, per i difensori della venezianità e delle antiche tradizioni. Penzo miscela l'attività pratica, realizzando modelli, seguendo importanti restauri, progettando nuovi scafi, a quella scientifica-divulgativa. I suoi libri sono pezzi da enciclopedia del mare. L'ultimo Il trabaccolo, edito da Il Leggio, è interamente dedicato all'antica barca da carico. Un autentico Tir del mare, lungo fino a venti metri. Ce n'erano migliaia che solcavano l'Adriatico, ormai ne restano pochissimi esemplari. 


LA POLEMICA

«Purtroppo non c'è molta attenzione per le nostre tradizioni. Perdiamo la memoria, così sparisce un mondo: Venezia dovrebbe ricordarsi che senza le barche non ci sarebbe mai stata. Tutto quello che è servito per costruire la città della Serenissima è arrivato da fuori, trasportato via acqua. Eppure non abbiamo un museo specifico. È possibile che a Venezia non esista un museo della gondola? È forse la barca più nota al mondo, ma nella città dove è nata non c'è un luogo che ne celebri la sua storia». Penzo si infervora, per lui la barca è sacra. Il suo laboratorio è una sorta di tempio, spiccano alcuni modelli che rasentano la perfezione e tutta una serie di attrezzi originali che lui ancora adopera. Li tocca con dolcezza, li presenta: «Questo è un sesto, questa una dolaora, e questo uno scorsuro». Meglio tradurre subito: il sesto è un legno modellato a forma di boomerang che serve da unità di misura delle assi ordinate che formano lo scafo della barca (in una gondola sono 33), la dolaora si usa per scavare le assi e lo scorsuro è un martello appuntito. 


ANTICHI ATTREZZI

Nel laboratorio di Penzo, Venezia è tornata ai tempi della Serenissima, gli attrezzi sono gli stessi, i nomi non sono cambiati e persino l'unità di misura è quella vecchia, il piede veneziano, equivalente a 34,8 centimetri. Ma non è un nostalgico che viva di ricordi. «Sul passato, sulle nostre tradizioni, possiamo costruire il futuro. Questo tragico periodo di pandemia ci deve far riflettere. La città è in ginocchio, deserta. Non si può puntare solo sul turismo mordi e fuggi. Dobbiamo alzare il livello qualitativo dell'offerta. Venezia ha una tradizione di grandissimo artigianato, una storia marinara unica, eccellenze come il vetro di Murano e il merletto di Burano, ma spesso offriamo ai turisti paccottiglia. Basta con le gondole souvenir in plastica, fatte in Cina». Lui, sicuramente, dà il suo contributo ad elevare la qualità: i suoi pezzi, interamente fatti a mano, con un numero di ore di lavorazione difficile da quantificare, sono unici e possono arrivare a costare anche 20mila euro. «Ma sono mesi che non entra un cliente in bottega. E sa quanto ho avuto di ristoro dallo Stato, finora? Mille euro». 


(vittorio.pierobon@libero.it)

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