«Io, Don Chisciotte in bici». L'avventura di Emilio, insegnante in pensione che si muove pedalando e remando

Giovedì 10 Dicembre 2020 di Vittorio Pierobon
Emilio Rigatti

Emilio Rigatti, 66 anni, insegnante da poco in pensione è un viaggiare lento che ama pedalare e pagaiare sul kayak. Nato a Gorizia, è un cittadino del mondo poliglotta, eclettico e colto autore di libri in cui racconta la sua filosofia di vita. «L'emozione più grande? Raggiungere Venezia navigando, vista a livello dell'acqua la città è ancora più affascinante».
 

Meglio la bici o il kayak? Difficile rispondere per Emilio Rigatti, che se la cava con una battuta: «Il kayak è una bici d'acqua, dove al posto delle gambe usi le braccia».

L'importante è la lentezza, il contatto diretto con il territorio, lo scorrere del paesaggio visto dalle due ruote o «con il sedere a mollo». Il viaggiare lento, ma costante è la filosofia di vita del professor Rigatti, 66 anni, nato a Gorizia, ma cittadino del mondo, insegnante da poco in pensione. Personaggio eccentrico, estroverso, colto. Scrittore, giornalista pentito («L'insegnamento mi ha salvato dal giornalismo»). Poliglotta: «Da bambino parlavo zaratino con il nonno paterno, che aveva una fabbrica di biscotti in Dalmazia, friulano, con quello materno. In terza media i miei si sono trasferiti a Londra, perché mio padre ha avuto una cattedra all'università, e ho imparato l'inglese, ma a scuola ho studiato francese. Dopo l'università ho vissuto in Brasile e ho imparato il portoghese, e altri sette anni in Colombia dove ovviamente ho imparato lo spagnolo. Con serbo e croato un po' mi arrangio». Ma Rigatti è soprattutto un cicloviaggiatore. «Un Don Chisciotte che è sceso da Ronzinante per montare su una bicicletta», è la sua definizione. Dopo il girovagare tra Veneto (scuole e università a Padova, a parte la parentesi inglese) e Sud America (in Colombia insegnava nelle favelas ai bambini portatori di handicap), ha messo radici a Ruda, paesetto friulano a pochi chilometri da Aquileia, base di partenza per i suoi viaggi in bici o kayak che sia. Due passioni che ha coltivato sin da piccolo e che ora sono divenute il baricentro della sua vita, come testimonia la decina di libri che ha scritto per descrivere i suoi viaggi. L'ultimo, La leggerezza del kayak. Piccola filosofia del navigare silenzioso, Ediciclo editore, è un diario intimistico che ci porta lungo le coste della ex Jugoslavia, terra cara ad Emilio. La terra vista dall'acqua, con brevi soste ristoratrici e pernottamenti abusivi nella tendina piantata lungo le rive. Una full immersion nei due mondi che l'uomo ha sempre cercato di dominare.


«L'acqua e la terra sono due cose diverse - è l'incipit del libro - Sulla terra ci nasciamo, ci lavoriamo, la ariamo e nella terra ci seppelliscono. Con l'acqua è diverso, perché la terra ci è data, l'acqua è una scelta. Anche se abbiamo fluttuato nove mesi nel liquido amniotico, una volta usciti dalla Madre, abbiamo imparato a camminare sulla terra lasciando l'elemento liquido nel dominio delle scelte: ci torneremo solo se vorremo». Ed Emilio in acqua ci è tornato sempre più spesso. Ma per anni l'ha tradita per la bicicletta, un mezzo che aveva scoperto in Colombia.


L'INIZIAZIONE

La vera iniziazione sui pedali, però è avvenuta in età matura nel 2001, quando è stato folgorato sulla via di Istanbul. Sono stati lo scrittore Paolo Rumiz e il disegnatore Altan a convincerlo a seguirli nella pedalata verso l'antica Bisanzio. «Quel viaggio mi ha cambiato la vita, quando sono tornato a casa ho venduto la macchina. E ho anche cominciato a scrivere libri. A dire il vero ci avevo già provato in precedenza, ma non trovavo nessuno disposto a pubblicarli. Ho provato persino a spedirne uno a Luis Sepulveda, ma non mi ha mai risposto. Probabilmente non lo ha nemmeno ricevuto. Si intitolava Yo no soy gringo e raccontava della mia esperienza sudamericana. A distanza di anni, dopo tante bocciature, mi hanno chiesto di pubblicarlo ed ha avuto un discreto successo. La vita è davvero strana». La sua vita, più che strana è avventurosa, anche se mantenuta nei limiti della sicurezza. «Viaggiare lento è bello, ma nasconde insidie. In bici bisogna evitare, se possibile, le strade trafficate e bisogna equipaggiarsi con le protezioni a cominciare dal caschetto. In kayak è ancora più necessaria la prudenza: sei da solo in mezzo all'acqua. Io quando parto ho sempre il kit di sopravvivenza: Gps, salvagente, radio ricetrasmittente galleggiante, tenda, sacco a pelo e venti litri d'acqua. Bisogna essere pronti a fermarsi, se le condizioni atmosferiche diventano a rischio ed essere in grado di passare la notte al coperto e asciutti. Viaggiare in solitudine, o con qualche compagno, è bello, ma va fatto con prudenza, consapevoli dei propri limiti». Ormai l'uscita in kayak è una consuetudine che alterna alle escursioni in bici.


La prima navigazione importante è abbastanza recente, nel 2010. «Sono andato a trovare mia mamma che abita ancora a Padova, in zona Portello. Sono partito in kayak da Aquileia e in cinque giorni sono arrivato a Padova. Ho telefonato a mia mamma e le ho detto di scendere. Non le dico la faccia, quando ha visto che avevo ormeggiato sotto casa». Ma l'emozione più grande, forse, è stata quando ha raggiunto Venezia in kayak: «Vista dal livello dell'acqua è ancora più affascinante». Stare in sella o in ammollo per Rigatti è un modo per estraniarsi e scoprire il mondo da un'altra prospettiva: «Questo viaggiare mi ha cambiato gli occhi. C'è una differenza di sguardo. Vedi molto di più. Ogni camminatore o vogatore diventa un geografo. È una sensazione fortissima, percepisci la forza della natura. In acqua, poi si crea una bolla uditiva, senti solo lo sciabordio, il fischiare del vento, i versi degli uccelli. I suoni sono liquidi». 


I SUOI STUDENTI

Rigatti racconta con passione. L'insegnamento e la scrittura hanno sciolto il suo eloquio. A scuola gli studenti lo adoravano. La sua era una didattica on the road. Escursioni in bicicletta per imparare la storia e la geografia. Un prof sui generis, capace di suscitare grande entusiasmo tra i giovani. Più che in cattedra, lui stava in sella, una quindicina di uscite all'anno: «I miei ragazzi imparavano di più. Un insegnante non deve trasmettere solo nozioni, ma anche emozioni, deve infondere entusiasmo, caricare i ragazzi. La bici è uno strumento geografico, scientifico e poetico». Una compagna che Rigatti non abbandona mai. Quando si entra nella sua affascinante abitazione, dove tutto rispecchia la sua personalità, la prima cosa che si vede è la bicicletta. Vive in casa con lui. «Non ne posso fare a meno. Pensi che mi hanno tolto anche la patente - racconta ridendo - è stato la sera della festa per il mio pensionamento. Tornavo a casa in auto e mi hanno fermato i carabinieri. Il maresciallo mi ha chiesto: Professore, per caso lei ha bevuto? Gli ho dato le chiavi della macchina. Del resto, come si fa in Friuli a non bere alla tua festa per il pensionamento? Ma quei carabinieri mi hanno fatto un regalo senza volere: ho chiuso con la macchina. Bici o kayak, sono molto meglio».

(vittorio.pierobon@libero.it) 

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