Ricette venete. Storia e leggenda della Sopa coada, un vero e proprio rito da gustare

Domenica 12 Marzo 2023
Ricette venete. Storia e leggenda della Sopa coada, un vero e proprio rito da gustare

È tra i piatti più identitari della Marca Gioiosa et Amorosa anche se, nel corso del tempo, ha vissuto cicli altalenanti: da ricercata principessa della tavola a piccola Cenerentola golosa che solo in pochi ricordano e preparano con dedizione nelle cucine, che siano familiari o della ristorazione quotidiana. Alla base di tutto vige una regola, come sottolinea Adriana Vigneri. "Deve essere chiamata rigorosamente in dialetto", ovvero sopacoada. Le sue origini si perdono nelle memorie del tempo, posto che le prime ricette scritte si rintracciano dall'Unità d'Italia in poi. Poche ma semplici regole. Giovani piccioncini, disossati e cotti lentamente in brodo di manzo, con aromi di sedano.

Una sopa che, in realtà, si presenta come un morbido pasticcio di carne. Qualcuno ha suggerito che coada sta per coperta, ovvero lo strato esterno di morbido pane ammorbidito nel brodo rivelerà poi la golosa imbottitura pennuta.


Intrigante un'altra chiave di lettura, ideale intrecciarsi di tradizione aristocratica, i colombi, e quotidianità rurale, il pane, quando c'era. Già in epoca tardo medioevale le torri di guardia attorno ai villaggi erano state riadattate ad altro uso. Lo stesso Palladio, quando la Serenissima Repubblica bonificò l'entroterra creando le condizioni per la civiltà della villa, progettò le colombaie quali parte dell'arredo architettonico attorno agli edifici principali. In basso magazzino per granaglie e raccolti assortiti, ai piani alti ostello per i più nobili pennuti, ovvero i colombi, le cui carni erano molto più intriganti di quelli delle galline lasciate a razzolare per produrre uova e prosecuzione della specie. Dalla campagna alla città il passo conseguente, qualcuno a sussurrare (l'autorevole Bepi Maffioli) che anche in alcuni palazzi le famiglie avevano allestito dei "roccoli" nei sottotetti dove attiravano gli innocenti colombini con esche a base di mais cinquantino, salvo poi riportarli a terra, ovvero nelle cucine per l'uso conseguente.


Centri di riferimento permanente, a dimensione trevisana, la centralissima trattoria Boschiero come la più periferica Goba delle sciatiche. Leggenda racconta che palati golosi arrivavano apposta anche da fuori città, Venezia compresa, prenotandosi per il rito conseguente. C'era chi, agli inizi del secolo scorso, faceva il viaggio due volte. L'uno per la prenotazione, rigorosamente de visu, e poi l'altro conseguente per papparsi il tutto in golosa compagnia.


Nei suoi saliscendi di storie culinarie la sopacoada risorse nel secondo dopoguerra, grazie a Maffioli, sul piano della ricerca storica, e di Bepi Mazzotti, al tempo Delegato per Treviso dell'Accademia Italiana della cucina per averla riportata all'attenzione cittadina. Grazie a Fulvia Zoppelli, che nel frattempo aveva recuperato la ricetta originale dai Boschiero, la sottopose al giudizio di Orio Vergani, uno dei padri fondatori accademici. Questi ne rimase conquistato e fu così che Mazzotti coinvolse i ristoratori trevigiani a riscoprire e proporre questa golosa eccellenza locale. In quegli anni si aggiunse una variante all'originale. Il pane tagliato a fette non più dalle grandi pagnotte tradizionali, ma da un più delicato montasù, una pagnottina dalla crosta friabile e croccante e la mollica morbida e compatta.


Gustarsi la sopacoada è un vero e proprio rito. Liturgia golosa prevederebbe che dalla stessa teglia le varie porzioni vadano poste sul piatto e poi ammorbidite secondo gusto personale, con del brodo versato dalla tazza posta a lato. Da sempre, accanto a quella trevisana, cioè cittadina, vi è quella rurale, con Motta di Livenza capitale. Qui si usa la carne di gallina giovane, a volte faraona. Un piatto calamita per i lavoranti che giungevano con i loro barconi dalla laguna, spesso trainati nel percorso finale da pazienti buoi. Non sono mancate riletture creative. Quella collinare con Gigetto, a Miane, generosamente arricchita di rosso pomodoro, ma anche di quel birbante goloso di Maffioli. Sua, tra le varie invenzioni, quella con le trippe di vitello, tagliate sottilissime, e arricchite con un soffritto di pancetta. Sopacoada, quindi, un covo di golose sensazioni di cui far tesoro sempre, a futura memoria.

Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 10:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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