Bruno, signore dei fossili

Venerdì 15 Gennaio 2021
Bruno, signore dei fossili
IL PERSONAGGIO
A poche decine dI metri da campo Santa Margherita, il cuore della movida veneziana, c'è un luogo che porta molto più indietro nel tempo. Milioni di anni fa. È la casa di Bruno Berti, naturalista veneziano, autodidatta in materie scientifiche, che ha imparato sul campo alla scuola di paleontologia di Giancarlo Ligabue, il grande imprenditore-esploratore veneziano, scomparso pochi anni fa, di cui è stato per decenni stretto collaboratore. Berti, che ha appena superato il traguardo degli 80 anni, nella vita ha lavorato come impiegato negli ospedali veneziani, ma la sua vera passione è sempre stata lo studio dell'ambiente e la sua evoluzione. Conoscere, scoprire, capire. «In natura la realtà supera qualsiasi immaginazione. La vera fantascienza è nel mondo della natura».
IL LABORATORIO
Entrare nel suo studio-laboratorio-museo, in alcuni locali al piano terra, fa accedere ad un'altra dimensione. Jurassic park, verrebbe da dire con una semplificazione per nulla scientifica, ma di facile comprensione. Alle pareti, in mensole e ripiani, c'è il mondo di Berti, quello che non esiste più da milioni di anni, ma che lui fa rivivere sotto forma di calchi in scala, dalle fattezze perfettamente uguali. Centinaia di animali, insetti, vermi, anellidi, ma anche pesci abissali e persino funghi («Ma quella è un'altra storia», chiarisce Berti). Una fauna e una flora formate prevalentemente da esseri ormai scomparsi da milioni di anni, ma ancora presenti, sotto forma di fossili o reperti. Perché, e a che scopo? «Per amore della conoscenza» è la risposta disarmante del naturalista. Le sue riproduzioni consentono di vedere un mondo che non c'è più. Scomparso oltre 500 milioni di anni fa. Perché il corpo principale del museo (ma lui non vuole che lo si chiami così) di Berti è formato dalla riproduzione in scala maggiorata di una buona parte delle 150 specie ritrovate a Burgess in Canada a partire dal 1909, grazie alla scoperta del paleontologo e geologo statunitense, Charles Walcott.
MOSTRI IN PLASTICA
Un ritrovamento eccezionale, una specie di stele di Rosetta per la paleontologia, che ha consentito la scoperta di numerosi animali di cui si ignorava l'esistenza, i progenitori di esseri arrivati ai giorni nostri. Berti ha deciso di riportare in vita, appunto come nel libro di Crichton, Jurassic Park, questi esseri. Ma in questo caso nessuna manipolazione genetica. Solo una rinascita plastica. Li ha ricostruiti basandosi sulle foto e sui disegni dei fossili. Una galleria di mostriciattoli affascinanti, che lui maneggia con cura. Sono realizzati in una specie di gesso, misto a polistirolo, plastificato ed estremamente resistente: «Non credo che possano durare cinquecento milioni di anni - scherza il naturalista - però possono resistere a lungo. Sono in trattativa con un museo canadese, che sorge nelle vicinanze di Burgess, per conferire tutta la collezione. Per me sarebbe un onore».
GLI STUDI
La manualità di Berti, ha origine dagli studi al liceo artistico e all'Accademia di Belle Arti, nonché da un passato di pittore con numerose mostre. «Ma la mia vera abilità è nel restauro dei fossili - racconta - Tutti i reperti che Giancarlo Ligabue portava dalle varie spedizioni, prima di venire esposti, passavano dalle mie mani. Li dovevo restaurare. Vale a dire pulire di tutte incrostazioni del tempo, farli tornare il più possibile allo stato naturale». Vedere per credere. Buona parte dei restauri di Berti per conto di Ligabue sono esposti al Museo di Scienze Naturali di Venezia. «Quando il dottor Ligabue tornava da una spedizione o comunque acquisiva qualche reperto, mi chiamava e me lo affidava. Aveva un entusiasmo incredibile, contagioso. Capitava che mi consegnasse un pezzo da trattare e dopo mezz'ora mi chiamasse: allora è pronto? Lavorare con lui è stato un privilegio. Peccato non aver potuto seguirlo nelle spedizioni».
NOVANTAMILA FOTO
Nell'antro, in cui Berti prosegue li suoi studi e raccoglie i reperti, c'è davvero di tutto. Libri scientifici, collezioni di riviste specializzate, un archivio con oltre 90mila foto, farfalle, fossili, riproduzioni di pesci abissali fluorescenti. L'amore per la natura e la conservazione traspare ovunque. Berti si appassiona nel raccontare. È un tourbillon di emozioni che cerca di trasmettere. I fossili? «Non serve andare in Canada per scoprirli. In Veneto abbiamo dei giacimenti incredibili. Assieme al professor Fabrizio Bizzarrini, uno studioso veneziano di livello nazionale, abbiamo scoperto in una cava nel Vicentino, una autentica miniera di fossili. Abbiamo catalogato ben 70 specie di granchi. Le nostre montagne sono ricchissime di questi fossili, dobbiamo pensare che, quando si scala una cima, è come se si risalisse da un antico fondale marino».
PRESENTE E PASSATO
Ma nel museo di Berti non c'è solo il passato (molto remoto), ma anche il presente. Non passano inosservate alcune riproduzioni plastiche di funghi. Cosa c'entrano con i fossili? «Come dicevo prima, quella dei funghi è un'altra storia. Dovevano dar parte del museo della micologia a Rivoli Veronese, che stava allestendo Paolo Cugildi, grande esperto della materia. Mi aveva chiesto di realizzare tutta una serie di funghi di dimensioni maggiorate per usarle a scopo didattico nel museo che stava sorgendo. Io avevo donato un centinaio di pezzi. Il Comune mi aveva anche premiato conferendomi la cittadina onoraria. Poi è cambiato sindaco e il museo non si è più fatto. Ed ho restituito anche la cittadinanza onoraria». Quella di far aprire musei, contribuendo con donazioni della sua collezione, è un'altra delle passioni di Berti. A Danta, paesetto tra Cadore e Comelico, c'è un piccolo scrigno nato sulla spinta del naturalista veneziano. «Per la verità, più che un museo volevano fare una discarica - racconta con entusiasmo - Parliamo di oltre vent'anni fa. Nel territorio di Danta c'era una zona paludosa che il Comune, non riuscendo a bonificarla, voleva trasformare in discarica per materiali inerti. In realtà si trattava di una torbiera di inestimabile valore naturalistico. Ho chiesto appuntamento al sindaco e, con le buone e forse anche con qualche minaccia di denunciarlo, l'ho convinto a rinunciare alla discarica e sfruttare invece la torbiera a scopo naturalistico e turistico. In pochi anni è sorto il museo che ho contribuito ad arricchire con le mie scoperte. Tra cui sette specie di piante carnivore che non si trovano in nessun'altra parte d'Italia». Ora sarebbe tempo che anche la sua collezione diventasse un museo. Berti si schernisce. «Ma cosa vuole, lo faccio per me, per passione. Qualcosa ho già dato in giro. Ma spesso nei musei non c'è posto. In Italia abbiamo la fortuna di vivere in un museo a cielo aperto. Non serve essere Indiana Jones per fare qualche ritrovamento. Basta tenere gli occhi ben spalancati e fare attenzione. La natura ci regala sempre qualche sorpresa».
Vittorio Pierobon
vittorio.pierobon@libero.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci