TREVISO - Due ore di ricostruzione dei fatti prima di chiedere il rinvio a giudizio per Vincenzo Consoli, Mosè Fagiani, Renato Merlo, Andrea Zanata e Giuseppe Cais. I pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama si sono divisi i compiti: il primo ha contestualizzato le accuse, la seconda ha definito i ruoli. E insieme, poi, hanno formalizzato al gup Piera De Stefani la volontà di mandare a processo l’ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Veneto Banca assieme agli altri quattro manager, tutti per l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata.
LE ACCUSE
Nella richiesta di rinvio a giudizio di Consoli e degli altri quattro manager di Veneto Banca, l’ipotesi accusatoria è descritta nel dettaglio, con tanto di 131 pagine in cui compare la lunghissima lista delle persone offese. I pubblici ministeri sostengono che Consoli, Fagiani, Merlo, Cais e Zanatta «promuovevano, costituivano e organizzavano o, comunque, partecipavano a un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione, mediante induzione in errore del personale dipendente di Veneto Banca S.c.p.a, Banca Apulia S.p.A. e altre società del gruppo Veneto Banca, di una serie indeterminata di delitti di truffa aggravata concernenti la vendita, a condizioni inique, nei confronti dei clienti e potenziali clienti, di titoli azionari e obbligazionari avvalendosi della struttura organizzativa delle società, che veniva di fatto asservita alle finalità illecite perseguite dagli aderenti al sodalizio criminoso».
IL DOMINUS
Come per il processo per falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza bancaria, conclusosi con una sentenza di condanna in primo grado, anche per questo filone d’indagine Vincenzo Consoli viene descritto il promotore dell’associazione a delinquere. «Avvalendosi dei suoi poteri di incontrastato ed effettivo dominus della banca - scrivono i magistrati - assumeva ogni decisione in merito alla determinazione del prezzo dell’azione Veneto Banca e influiva illecitamente sulle decisioni del Cda e dell’assemblea dei soci, presentando personalmente i piani strategici dell’azienda e le proposte per il prezzo delle azioni».
I RUOLI
Se Consoli sapeva e decideva tutto, gli altri quattro manager non hanno fatto nulla perché questo non accadesse. Le responsabilità ipotizzate dalla Procura di Treviso sono chiare, e divise per ruolo di competenza. Ma la sintesi è la medesima: sapevano che la banca «si trovava in una situazione patrimoniale e finanziaria assai critica». Partendo da questo presupposto «inducevano i componenti del Cda e l’assemblea dei soci, a mantenere costantemente ed eccessivamente elevato il prezzo unitario delle azioni, favorivano il mantenimento dell’effettivo e assoluto potere direttivo concentrato essenzialmente nella persona di Vincenzo Consoli, adottavano modalità gestionali atte a dissimulare lo stato di difficoltà finanziaria della banca e impartivano pressanti disposizioni al personale dipendente dirette a incoraggiare la vendita di titoli azionari». Il tutto a danno, ovviamente, dei clienti.