Rossana Comida, guida turistica da 25 anni: «Giocavo agli Scrovegni, adesso ci porto i turisti»

Martedì 7 Novembre 2023 di Maria Pia Codato
Rossana Comida

PADOVA - Ha accompagnato generazioni di visitatori per le meraviglie di Padova. Ha assistito in prima persona all’impennata del turismo e ha assistito parallelamente alla trasformazione della città. Rossana Comida è una delle guide più note del Veneto. Svolge questa professione da 25 anni, è stata guida ufficiale dell’Università e oggi ricopre la carica di presidente della categoria per Ascom Confcommercio.

I suoi nonni provenivano da Spagna, Austria, Germania ed ex Jugoslavia. La contaminazione tra lingue e culture fa parte del dna di famiglia.

Che cosa ricorda dei suoi nonni multietnici?

«Io sono cresciuta a Padova, ma tutte le estati e in occasione delle feste natalizie tornavo a Trieste. I nonni materni vivevano con i miei genitori in un grande appartamento in centro storico. Nonno Marcello era di origine tedesca, nonna Natalia era istriana. A casa tutti parlavano tedesco, italiano e slavo. Ricordo che certe mattine molto presto nella grande cucina arrivava la iuzza, la contadina, a portare le uova e altri prodotti passando il confine quando era ancora buio. Nella cucina, in penombra, parlavano in slavo, cosa che creava in me una certa curiosità».

E gli altri nonni?

«Nonno Francesco Comida era un gigante di due metri, colonnello dell’esercito. I suoi erano originari della Spagna, ma trasferiti a fine Ottocento in Sardegna dove possedevano case, terre, cavalli e una miniera di argento. Lui è nato in Sardegna e poi ha sposato mia nonna triestina. E poi va raccontato di mio padre Salvatore, che prima di sposarsi era tornato dalla Temple University di Philadelphia e aveva introdotto in famiglia la cultura americana, musica e cinema. I miei genitori erano campioni di rock n’ roll. Ricordo feste molto divertenti: era il fantastico dopoguerra». È una delle guide turistiche più note in città e non solo. Quale attività le ha dato maggiore soddisfazione? «Ho sempre provato grande piacere ad accompagnare i turisti nelle ville e nei giardini veneti che sono molto diversi tra loro: giardini all’italiana, rinascimentali, neoplatonici, esoterici, abbelliti da alberi storici, labirinti, roseti in cui si può passeggiare, oppure si possono osservare dai battelli navigando lungo il Brenta. Nelle ville si tengono anche matrimoni. Ne ricordo uno con sorpresa per i genitori degli sposi. Il gruppo era stato invitato per una escursione sul battello che partiva da Malcontenta. Arrivato a Mira, si fermò per la visita al municipio. Nella sala consigliare ecco comparire il sindaco e i due sposi. Dopo lo sgomento iniziale, tutti gli sguardi si rivolsero alla mamma della sposa che era scoppiata in un pianto a dirotto. Seguirono abbracci e baci: momenti di grande emozione».

Propone sempre gli “itinerari tartiniani” per ricordare il grande violinista e compositore Giuseppe Tartini...

«Porto i turisti a visitare i luoghi dove è vissuto e ha lavorato questo personaggio piuttosto irrequieto. Prima di tutto la statua a lui dedicata in Prato della Valle, poi il Santo, la Chiesa dei Servi, l’Università e la Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, in via Cesare Battisti, dove è sepolto accanto alla moglie. Con l’ausilio di cartoline dove sono stampati i code per l’ascolto delle musiche del maestro, ogni turista con il proprio cellulare può sentire i brani del violinista. Il tour si conclude nella Chiesa di Santa Caterina dove si assiste ad un concerto dal vivo».

Visitando il Palazzo del Bo, da che cosa restano affascinati i turisti?

«Il palazzo del Bo incute un grande rispetto che si accompagna al desiderio di sapere quello che custodisce. Certamente gli spazi dove Galileo ha insegnato per diciotto anni sono un monumento al sapere. A volte qualche turista straniero, che conosce la storia della scienza moderna, si commuove. Lo spazio più coinvolgente è il Teatro Anatomico che poteva ospitare 200 studenti che con candele in mano osservavano le autopsie che si eseguivano. Qui si soffermano con grande curiosità».

E l’Urbs picta?

«Tutti gli otto siti, ora patrimonio dell’umanità Unesco, sono apprezzati. La Cappella degli Scrovegni fa la parte del leone. La sua potente bellezza impressiona e spesso viene paragonata alla Cappella Sistina di Michelangelo. Pensare che quando ero bambina e andavo a giocare nei giardini dell’Arena, la Cappella era senza custodi, l’ingresso protetto da una tenda di velluto rosso. I visitatori erano pochissimi. Io entravo con i pattini. Oggi sembra impossibile».

I turisti tentano di parlare la nostra lingua?

«I brasiliani sono i più affezionati alla nostra regione perché spesso sono figli di emigranti veneti che hanno insegnato loro il dialetto e tornano nei luoghi dei nonni, alla ricerca delle loro origini. Arrivano parlando in dialetto: “Ciao, come steto?”, “Che caldo che xe oncò” E di fronte alle meraviglie di Padova, “Che beo!“. Spesso usano un dialetto storpiato, che fa tenerezza. Sono molto legate a Padova le persone mature, che vengono a celebrare le nozze d’argento. Ci sono anche tanti giovani invece vengono a cercare il fidanzato o la fidanzata, pregando sulla tomba di Sant’Antonio che chiamano Casamenteiro».

Ultimo aggiornamento: 8 Novembre, 13:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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