Ha passato 22 mesi in un campo a Dresda, Luigi Marchetti: «La mia rivincita da internato? Arrivare oggi a un secolo»

Venerdì 8 Settembre 2023 di Nicoletta Cozza
Luigi Marchetti

PADOVA - Ieri è andato dal barbiere. Da solo. Si è messo camicia, cravatta e giacca per andare a tagliarsi i capelli. Certo, ha usato il bastone come fa ogni mattina per la passeggiatina quotidiana, ma non ha avuto esitazioni, convinto che la tappa dal coiffeur fosse necessaria in vista della scadenza di domenica. Dopodomani alle 10,30, infatti, Luigi Marchetti spegnerà le 100 candeline durante una festa che gli inquilini di via Tirana 21, dove abita, gli hanno organizzato al bar Palestro, anticipando di un giorno il compleanno che cade lunedì.

Un traguardo eccezionale, soprattutto perché l’anziano è in ottime condizioni, ricorda perfettamente tutte le tappe del suo secolo di vita e addirittura fino a qualche tempo fa il quesito che poneva più spesso a chi lo andava a trovare era come mai gli uomini non vivano almeno 120 anni.

Signor Luigi, com’è stata la sua vita?

«Ho lavorato molto, ho fatto il mio dovere e mi sono tolto tante soddisfazioni. Non posso negare di avere vissuto in pieno».

Cosa ricorda con maggiore piacere?

«I 50 anni in cui sono stato pilota dell’aeroclub. Era il 1956 quando dall’aeroporto “Gino Allegri”, vedendo la mia attitudine, mi mandarono a Rieti alla scuola di volo a vela. Era la mia passione ho preso subito il brevetto stabilendo il record regionale per aver tenuto in volo un aliante per 7 ore, restando nel cielo di Padova e Venezia a un’altitudine che andava dai 1.700 ai 2.000 metri. Poi io stesso sono stato direttore della scuola padovana, di cui sono ancora socio onorario. Ho effettuato 5mila traini di alianti in 30 anni, 274 battesimi dell’aria, e ho volato fino al 2000, ma poi ho smesso, come a 92 anni ho scelto di non guidare più la macchina».

Come le è venuto l’amore per il volo?

«Stando vicino a mio fratello Francesco che frequentava l’aeroclub in quanto appassionato di aeromodellismo. Ho iniziato per caso e poi non so quanti decolli e atterraggi ho fatto, anche con velivoli a motore».

Ma ha anche un’altra passione.

«Sì, adoro disegnare e dipingere, e ho realizzato numerosi quadri a colori e in bianco e nero con la china. Alcuni sono sulle pareti della mia casa, altri li ho regalati. Ho scelto i temi più diversi: la Basilica del Santo, le pale di San Martino, la “donzelletta che vien dalla campagna”, paesaggi».

Fin qui le cose belle, ma ha vissuto anche il periodo tragico della guerra e della prigionia per 22 mesi.

«Ricordo tutto minuto per minuto, anche perché ho scritto un diario che conservo gelosamente. Alcuni stralci sono stati riportati nel libro “Memorie di prigionia” pubblicato 3 anni fa, con l’Introduzione di Mariangela Lando. La chiamata era arrivata nel gennaio 1943 ed ero finito nell’artiglieria pre-militare a Pola. Poi la cattura e la prigionia a Karlovac , il giorno che compivo 20 anni. Con altre 700mila persone sono stato deportato a Dresda in un campo di prigionia dove sono rimasto 2 anni. Mangiavo solo zuppe, una schifezza. Ogni tanto i residenti di nascosto mi infilavano una pagnotta sotto il braccio. Mi facevano lavorare in un’industria bellica e il titolare non era cattivo: un giorno mi ha salvato, perché mentre ero con i pantaloni abbassati in una specie di latrina, un tedesco mi guardava ripetendo “italiano di m…”. Ho perso la pazienza e gli ho sputato in faccia: ho rischiato la vita, ma il padrone ha evitato che mi uccidesse».

E ha rischiato di morire pure in un’altra circostanza.

«Quando hanno bombardato Dresda ci sono state 250mila vittime. Io stavo facendo il turno di notte e mi sono nascosto sotto un pesantissimo macchinario in ferro che mi ha protetto. Alla fine mi hanno portato verso il fronte russo, poi sono riuscito a scappare. A piedi sono tornato a Dresda, e poi a Praga e a Innsbruck. In Austria sono salito su un automezzo che mi ha portato in Italia. Il 21 giugno del 1945 alle 2 ho suonato il campanello di casa, ha aperto mia madre, incredula: era il giorno del suo compleanno e del mio onomastico, San Luigi. Mi ha baciato, abbiamo pianto».

Come trascorre le sue giornate?

«Mi piace ri-guardare le foto e i ricordi della mia vita. Poi leggo, e il Gazzettino è il mio quotidiano preferito, passeggio e mi fermo a chiacchierare. Alle 20 però sono a letto, anche se poi mi sveglio alle 3. Però mi alzo alle 6 e mi faccio subito un buon caffè».

Cosa mangia per essere arrivato a quest’età in così buone condizioni?

«Preferisco i primi piatti che mi cucina Serenella, una vicina dal cuore grande, ma quello che non deve mai mancare è un bicchiere di vino rosso: con le camminate è un elisir di lunga vita».

A cento anni qual è il suo sogno?

«Di volare ancora. Non ho l’idoneità, ma salirei a bordo subito. In cielo ho fatto tante cabrate, picchiate, avvitamenti. E ho nostalgia. Paura? Mai avuta e non ne ho neppure ora. Neanche di morire. Quando sarà il momento, spero di non accorgermi di nulla e “volare”, stavolta nell’aldilà, senza soffrire».

Ultimo aggiornamento: 9 Settembre, 10:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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