La famiglia Avruscio: i nonni partiti sul treno dei migranti, destinazione il mondo

Giovedì 31 Agosto 2023
La famiglia Avruscio: i nonni partiti sul treno dei migranti, destinazione il mondo

PADOVA - Il figlio Marco vive negli Usa e per 6 anni è stato arruolato nell'Air Force. Il nipote Markus, stesso cognome, risiede in Germania e fa parte dell'esercito tedesco. La secondogenita Arianna abita a Oxford, dove è nato il suo bimbo Ezio Nicolas. La storia della famiglia Avruscio parte da Cosenza, arriva in Germania, fa tappa a Padova e si snoda poi in giro per il mondo. E a narrarne la genesi è una canzone, struggente soprattutto nella versione in francese, "Il treno degli emigranti", che parla del convoglio su cui oltre mezzo secolo fa erano saliti i nonni che andarono a cercar lavoro all'estero. A scriverla è stato un altro Avruscio, Giampiero, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Angiologia con la passione per la musica e il canto, calabrese d'origine ma padovano d'adozione, e con i parenti sparsi tra l'Europa e l'America.


Dottore, la sua è una "famiglia mondiale".
«In effetti è così.

Il nucleo originario era di 7 persone, ma siamo rimasti solo io e mio fratello Marcello, però ho 5 nipoti e 10 pronipoti in Germania. E poi ho mio figlio Marco è in California dove si occupa di sicurezza, mentre mia figlia Arianna, che fa i sottotitoli dei film per la Deluxe, dopo avere studiato a Londra ora vive a Oxford con il marito e il piccolo Ezio Nicolas, che si chiama così in omaggio a uno zio emigrante. E lì fra poco nascerà la sua secondogenita: avrò così un nipotino e una nipotina inglesi».


E infatti lei agli emigranti ha dedicato un brano.
«L'ho scritto qualche anno fa quand'è morto proprio mio fratello Nicola, che negli anni Sessanta era andato in Germania con papà Carmine e mamma Anna, i quali avevano portato pure gli altri figli Marcello e Franco, mentre io che avevo 6 anni ero rimasto in Calabria con nonna Teresa, analfabeta, ma che con la sua grande saggezza mi ha insegnato tutto: ogni sera recitava il rosario e la mia fede deriva da questa consuetudine. Mi avevano lasciato a Cosenza pensando di ritornare e io ero felice e frequentavo la scuola con profitto. Andavo a trovarli a Belecke e c'era l'assalto a quei treni affollatissimi: si facevano viaggi lunghissimi, con soste di ore a Roma in mezzo alle valigie di cartone, mangiando pane e olive. Vedere partire i miei significava pianti e sofferenza, anche se il loro affetto non mi è mai mancato. E sapevo perché dovevano andare in un altro mondo. Ma io preferivo la Calabria alla Germania».


Una storia che si ripete pure ora.
«Sì, la vocazione migratoria dell'Italia continua. Allora si lasciava la campagna per fame. Oggi i nostri giovani emigrano da laureati e specializzati per miseria di opportunità e Londra è considerata la città più a nord d'Italia per l'elevato numero di italiani. Però un Paese che lascia andare via i giovani non ha futuro».


Perché ha deciso di specializzarsi in Angiologia?
«La scelta è stata determinata dalla malattia di mio padre, che aveva un'arteriopatia periferica e alla fine è morto di ictus. Proprio per le sue patologie era rientrato in Calabria ed è arrivata la pensione, che aspettava per rifarsi i denti, un mese dopo che era deceduto. Avevo scelto di frequentare Medicina a Padova per avvicinarmi alla Germania, ma mia mamma è tornata in Italia quasi contestualmente, mentre i miei fratelli si sono sposati in Germania e hanno fatto la loro vita là. E io sono rimasto nella città del Santo».


Dottore, com'è nato il brano?
«Prima le parole, che ho messo sugli accordi della chitarra, e quindi l'arrangiamento dell'amico ed ex compagno di liceo Carmelo Labate, fonico dei Ricchi e Poveri. È una canzone per non dimenticare le migliaia di persone che hanno dovuto lasciare la propria terra per dare un futuro migliore ai figli. Conoscere i loro sacrifici vuol dire conoscere la nostra identità, perché non succeda come agli alberi senza radici che possono essere abbattuti da un colpo di vento».


Le parole raccontano due drammi.
«L'8 agosto del 1956 divampò un incendio nella miniera di carbone di Marcinelle in Belgio e perirono 262 persone, di cui 136 italiani. Quella non fu l'unica tragedia sul lavoro. In seguito ad uno scoppio nella fabbrica metallurgica Siepmann-Werke di Belecke in Germania avvenuto il 9 marzo 1963, morirono 20 operai, alcuni cosentini. Mio padre e mio fratello lavoravano là e Nicola era impiegato nel settore dove avvenne la tragedia, ma quel giorno era a casa con la febbre alta, nonostante mio padre avesse insistito perchè andasse lo stesso per non dare un'impressione sbagliata ai datori di lavoro. Papà quella mattina corse sul luogo del sinistro e seppe che per fortuna il suo ragazzo si era salvato, ma non fu lo stesso per gli altri 20. Nicola aveva il diploma di ragioniere, all'epoca non riconosciuto in Germania e più avanti conseguì quello del liceo tedesco e si laureò in Storia all'Università di Bielefeld».


Lei parla spesso delle sue origini.
«Sono orgoglioso della mia storia. I miei genitori non hanno aspettato che qualcosa cambiasse nella loro vita, ma quando si sono trovati in difficoltà sono saliti sul "treno del sole" per andare a cercare lavoro, "nel cuore le lacrime, salutando il mare e la campagna, cambiando tempo, colori, lingua e sapori", con "sguardi e valige pesanti", proprio come dice la canzone».

Ultimo aggiornamento: 14:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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