Il segretario del Pd: «Sconfitti dalle faide interne, Lorenzoni ingeneroso»

Venerdì 25 Settembre 2020 di Angela Pederiva
Alessandro Bisato
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Alessandro Bisato è il primo dei non eletti fra i dem in provincia di Padova, ma è anche e soprattutto il segretario veneto del Pd. Un partito verso cui il candidato presidente Arturo Lorenzoni, nell’intervista di ieri al Gazzettino, ha espresso una certa delusione («C’era un atteggiamento rinunciatario. Ho dovuto combattere contro la rassegnazione»). Con questa premessa sabato 3 ottobre, alle porte di Padova, la direzione regionale si riunirà per l’analisi del voto.
Cosa risponde a Lorenzoni?
«Arturo lo abbiamo chiaramente candidato noi del Pd, altrimenti non ci sarebbe stata la coalizione di centrosinistra, quindi mi pare ingeneroso questo suo giudizio. Che poi il clima d’intorno fosse difficile, questo va al di là dei nostri atteggiamenti. Era lo scenario d’insieme che obiettivamente aveva uno scarto già scritto. Parliamo tanto di par condicio, ma questa non può valere solo negli ultimi 45 giorni e non per i 147 che hanno visto due ore quotidiane di diretta tivù».
 Questo attiene a Luca Zaia. Ma per quanto riguarda il Pd?
«Nessuna scusante. Il risultato è drammatico e testimonia l’incapacità di aggregare intorno non tanto a un uomo, ma a una proposta, un pezzo significativo della società veneta. Questo è il punto che merita una riflessione profonda. Serve la ricostruzione di una proposta alternativa. Ma perché queste non siano parole vuote, bisogna che il progetto sappia incarnare il Veneto produttivo: l’artigiano, il commerciante, il contadino. Perché in alcune realtà amministrative riusciamo a parlare anche a queste persone, mentre in ambito regionale non esistiamo più e non siamo riconosciuti più?».
Che risposta si è dato?
«C’è una motivazione tutta interna, su cui chiamerò a responsabilità tutti: le faide dentro al partito producono all’esterno la visione di una comunità lacerata e divisa. Anche quando con difficoltà si trovano l’identità, l’uomo e la traiettoria, dal giorno dopo c’è chi ricomincia a farsi la guerra». Ad esempio? «Non ci sono nomi e cognomi, è qualcosa di strisciante e sotterraneo. Più che una tendenza, direi proprio una volontà di farsi del male. Io sono stato chiamato dopo la sconfitta di cinque anni fa e sono arrivato con la voglia dell’uomo libero che nelle istituzioni riusciva, nel suo piccolo, a interpretare pezzi di società oltre il ristretto argine di quelli che stanno dentro. Invece non siamo mai riusciti a far entrare aria nuova. Per questo serve una ricostruzione: non dei ruoli, ma della cultura politica e dei riferimenti ideali nel centrosinistra veneto».
Parla da dimissionario?
«Il mio incarico è a disposizione. Ma credo sarebbe riduttivo per tutti cavarsela con il segretario che si assume tutta la responsabilità con fare enfatico: non restituirebbe la verità e la carsicità di quello che è successo. Veniamo da due anni di segreteria u-ni-ta-ria (lo scandisce, ndr.), in cui sono rappresentate tutte le sensibilità del partito, tanto che l’indicazione del candidato presidente alla fine è stata decisa da tutti. Invocare adesso una nuova classe dirigente, significa non aver capito niente, se semplicemente si prende un altro, lo si mette là e poi non lo si difende».
Si è sentito poco difeso dal Pd?
«So per certo che delle 5.044 persone che hanno deciso di scrivere Bisato sulla scheda, una grossa parte era fuori dal partito e la ringrazio di cuore. Ma non nascondo il risultato che certifica che nemmeno il segretario veneto riesce a entrare in Consiglio regionale. Se posso darmi una colpa, è di aver mediato all’indicibile con chiunque in questi tre anni. Fossero poi sensibilità politiche, porterebbero un “di più” alla discussione, invece sono solo personalismi. Al netto ovviamente del candidato di centrodestra, che schiaccia tutto il resto, noi parliamo a chi intraprende e si spacca la schiena, o invece coltiviamo l’idea della riserva indiana?».
Pare una domanda retorica...
«Ma è qua la discussione vera».

Tornasse indietro, risceglierebbe un candidato esterno?
«Quella decisione è stata presa subito dopo l’Emilia Romagna e appena prima del Covid, nel momento in cui il vento della novità erano le Sardine che si aprivano a un mondo altro rispetto a quello codificato dentro un partito. Con il senno di poi, diciamo che l’obiettivo di avere più consiglieri regionali doveva essere tenuto più in conto. Questa presunta apertura ci ha portato a non averne due in più. Ma dal punto di vista umano e politico sono molto vicino ad Arturo, la scelta va portata fino alle estreme conseguenze. Piuttosto i tre sottosegretari, nostri padri nobili, avrebbero dovuto sostenerlo molto di più. Invece il partito nazionale ha deciso di impegnarsi in altre partite maggiormente contendibili».

Cosa accadrà il 3 ottobre?
«Niente riti, tanta concretezza.
Disponibilità assoluta a mettersi in gioco, ma nemmeno capri espiatori che servano da autoassoluzione. Il Pd prende l’11,9% perché Bisato ha sbagliato il candidato, o perché sotto tre strati di pelle non c’è una nervatura connessa al Veneto?». 
Ultimo aggiornamento: 10:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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