«La camorra a Bibione? Solo suggestioni emotive»

Mercoledì 24 Novembre 2021 di Nicola Munaro
«La camorra a Bibione? Solo suggestioni emotive»
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BIBIONE - «La lettura sistematica dei fatti offerta» dall'ordinanza con cui il gip di Trieste accoglieva la richiesta della procura Antimafia giuliana di arrestare nove persone, con l'accusa di estorsioni aggravate dal metodo mafioso per una storia di banchetti e mercatini a Bibione, «appare frutto di un'opera di sovrainterpretazione dei dati oggettivi e viziata da suggestioni verbali ed emotive, che hanno determinato una errata valutazione della realtà fattuale, che ad una lettura più fredda, asettica e distaccata porta a ridimensionare notevolmente la gravità delle condotte contestate». È uno dei passaggi chiave delle motivazioni con cui il tribunale del Riesame di Trieste spiega perché abbia spazzato via il lavoro della procura e della Direzione Antimafia di Trieste.


ARRESTI E SCARCERAZIONI

All'alba del 15 settembre la guardia di finanza di Trieste eseguiva nove ordinanze di custodia cautelare.

Finivano nelle carceri di mezza Italia Zefferino Pasian, i mercanti napoletani Renato e Beniamino D'Antonio, Gennaro Carrano, Salvatore Carrano, Raffaele e Salvatore Biancolino, Giuseppe Morsanuto (ex presidente di Confcommercio Bibione) e Pietro D'Antonio, considerato dall'Antimafia il promotore del gruppo di ambulanti ribelli e «contiguo» al clan camorristico Sarno-Contini-Licciardi: tutti avrebbero preso parte al tentativo di impadronirsi dei mercati di Bibione, a partire dalla manifestazione I giovedì del Lido del Sole, dal quale alcuni di loro erano stati esclusi per il mancato pagamento della quota associativa. Il 7 ottobre quell'impianto crollava, demolito dal dispositivo del Riesame di Trieste che per Pietro D'Antonio riqualificava le estorsioni in violenza privata, facendolo passare dal carcere di Trieste agli arresti domiciliari. Per tutti gli altri, ordinanza annullata e libertà. Ma soprattutto cancellazione dell'aggravante mafiosa.


IL PERCHÈ

«Non appare sorretto da alcuna solida base indiziaria il fondamento dell'intera ricostruzione accusatoria, ovvero l'appartenenza, o quantomeno la stretta contiguità, del D'Antonio con clan camorristici. Non è emerso alcuno stabile, attuale e concreto contatto con consorterie o esponenti camorristici». «Poco significativi» per D'Antonio un arresto del 1998 per partecipazione ad associazione camorristica, dal quale era stato prosciolto, e non c'è, per il Riesame, «prova alcuna» che il presunto boss e gli altri mercanti «facessero parte di un gruppo organizzato che avrebbe controllato con metodi intimidatori i mercati degli ambulanti». Oltretutto il mercatino del giovedì sera del Lido di Bibione «rivestiva una modesta importanza in termini economici, sicché appare poco plausibile che possa aver giustificato un esercizio plateale di forza da parte di un serio sodalizio criminale di carattere organizzato».


NIENTE MAFIA

A guardarle attraverso le lenti del Riesame ecco che quelle che il gip aveva letto come estorsioni - compresa la decisione del Comune di San Michele al Tagliamento di chiudere il mercatino ai professionisti e il tir piazzato, a sbarrare l'ingresso del mercatino la sera del 13 agosto 2020 - diventano un'azione «del tutto paragonabile a quella che si verifica in tutte le manifestazioni di protesta che degenerano in violenza o minaccia». D'Antonio, difeso dai penalisti Paolo e Alice Bevilacqua, sarebbe stato quindi frainteso dalla Dda nel suo parlare e insieme ai suoi colleghi non erano quindi né una cosca né un'estensione dei tentacoli della piovra. «Gli indagati - si legge - mai hanno prospettato alle persone offese la loro appartenenza alla criminalità organizzata. In occasione della protesta hanno mantenuto un dialogo con le istituzioni» e «si sono presentati semplicemente come paladini di una protesta di solidarietà nei confronti di colleghi esclusi. E, infatti, alle parole non era seguita alcuna ritorsione ai danni dei commercianti che avevano deciso di aprire in dissenso rispetto alla linea dettata dal D'Antonio». Insomma, nessuna Scampia: a proposito, la frase detta al telefono dall'assessore al Commercio di San Michele al tagliamento, Annalisa Arduini («Oh! Ragazzi non siamo mica a Scampia eh!») è per il Riesame «una mera battuta» dentro uno sfogo con il comandante della polizia locale. «Del resto - continuano le motivazioni - che le persone offese non avessero percepito un effetto intimidatorio di stampo mafioso lo si ricava dallo stupore manifestato dalle stesse allorquando erano venute a conoscenza» dell'indagine.


MORSANUTO PULITO

Se per Pietro D'Antonio non può esserci libertà per il pericolo di reiterazione del reato («personalità poco rassicurante»), lo stesso non vale per gli altri indagati. Su tutti l'ex presidente di Confcommercio, Giuseppe Morsanuto. Di lui il Riesame dice: «Ha rivestito un ruolo di suggeritore, consigliere e intercessore presso le istituzioni. La vicenda appare del tutto occasionale nella biografia dell'indagato, il quale peraltro si è dimesso da ogni incarico».

Ultimo aggiornamento: 10:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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