Personaggi veneti. Italo Ianne: «Ho vinto Sanremo e cantato in gondola. Il brano che ti chiedono di più? "O sole mio" e "Volare"»

Lunedì 13 Maggio 2024 di Edoardo Pittalis
Personaggi veneti. Italo Ianne

Fare un duo con una ragazzina bionda, che ancora non si chiamava Patty Pravo, nella Mestre di metà anni 60 che era una piccola capitale beat. Andare a Milano e incidere una fortunata sigla televisiva che entra in classifica superando i Beatles, seconda solo a Lucio Battisti. Cambiare nome e incidere il primo successo della disco music italiana. Vincere un Festival di Sanremo come autore per Iva Zanicchi, rilanciare la carriera di Fausto Leali. Vincere anche uno Zecchino d'oro, poi cantare per anni sulle gondole per vivere, tra "O sole mio" e "Volare". E interrompere ogni tanto per prestare versi e voce agli spot pubblicitari: come quello delle caramelle Tabù, "Ne mangio mille al giorno vuoi sapere il perché". Italo Ianne, 82 anni, calabrese cresciuto a Venezia, continua a scrivere canzoni, ha due dischi pronti, deve solo aspettare che lo dimettano dall'ospedale di Mestre dove è stato ricoverato per problemi cardiaci.

L'intervista è fatta in una saletta del Policlinico San Marco. Si muove svelto appoggiato a un deambulatore, i capelli bianchissimi e folti, la mascherina sulla bocca. Un racconto che abbraccia sessant'anni di musica leggera italiana, tra "le discese ardite e le risalite" come cantava Battisti.


Come è arrivato a Venezia?


«Famiglia calabrese ma sono nato a Castellamare di Stabia e quando avevo 40 giorni di vita ero già in viaggio per Fiume: papà Giovanni era ispettore di Dogana e fu trasferito in piena guerra con moglie e tre figli. Riuscimmo ad allontanarci dall'Istria nel 1946, c'eravamo anche noi nell'esodo. Al Lido di Venezia ho trascorso con mamma Assunta una bella infanzia: sotto casa c'era un grande giardino che a me sembrava il paradiso; vicino c'era il cinema all'aperto Alambra. Venendo dalla guerra trovo il giardino, il cinema e il mare ed ero felice, anche se eravamo poveri. All'asilo della scuola Campostrini c'era un piccolo zoo e giocavo più con gli animali in gabbia che con i miei simili. Ricordo il primo amore, a 11 anni, naturalmente platonico, ma che rimane nel cuore. Si chiamava Liliana, ero al parco delle Rose alzai gli occhi e la vidi sopra la gelateria affacciarsi alla finestra, bionda come un angelo. Un colpo di fulmine che mi lasciò ubriaco».


Quando è entrata la musica nella sua vita?


«Frequentavo le medie e cresceva la passione per la musica, vidi il primo Lp di Elvis Presley esposto nel negozio al Lido, mi incuriosiva questo cantante con la chitarra e tutto vestito di bianco. Anche se avevo una voce più adatta alle canzoni di Neil Sedaka. Non nascerà più nessuno come Elvis Presley; Little Tony morendo ha voluto sentire i pezzi di Elvis, erano un'invocazione alla vita. Nel 1959 formai il primo complesso rock di Mestre col nome di Rockers e debuttammo al teatro Disney, accanto alla chiesa di via Piave. Alla chitarra Stelio Stella che poi ha suonato per otto anni con Toto e i Tati, la formazione di Toto Cutugno. Quando Cutugno è morto è andato ai funerali, si è seduto sui gradini con una fisarmonica e ha suonato tutte le canzoni del suo grande amico».


Perché lasciare Venezia per la terraferma?


«Allora Mestre era una città in fermento musicale, con molti gruppi. Ho provato a cantare con gli Uragani, i Pipistrelli, i Ragazzi dei capelli azzurri. Al teatro Toniolo si facevano concorsi per band». Mestre era allora la vera capitale veneta della musica giovane, c'erano locali dove si suonava e si ballava, come il Big Club ai Quattro Cantoni e il Bandiera gialla in fondo a via Torino. In Piazza Ferretto si potevano incontrare Nicoletta Strambelli, Mara Venier e Guido Toffoletti che ti incantava con i suoi racconti londinesi. E a un tavolo dei Veterani o da Scarpon, Italo Ianne scriveva canzoni con i Sagittari e qualche volta arrivava anche Sergio Endrigo che era portiere di notte all'Hotel Plaza, davanti alla stazione. Un mondo raccontato con passione dal giornalista Gigi Rizziato che ricorda il primo concorso nazionale per soli complessi proprio a Mestre, al Teatro Toniolo, nel 1964.


E l'incontro con la futura Patty Pravo?


«Nel 1963 spunta fuori questa ragazza di 15 anni bellissima come il sole, Nicoletta Strambelli. Con lei abbiamo creato il "Duo Magenta" prendendo il nome a caso da uno spartito, e abbiamo partecipato a un concorso a Loreo, arrivando secondi; al primo spettava l'incisione di un disco con la Rca. Poi lei partì per Roma e andò al Piper, cambiò il nome in Patty Pravo ed ebbe un grande successo, un anno dopo era in classifica con "La bambola". Combinazione ha voluto che l'autore di quella canzone, Bruno Zambrini, sia stato anche l'autore insieme a Gianni Meccia del mio primo successo. Era la sigla della trasmissione tv del Tenente Sheridan, con Ubaldo Lay: era intitolata "Centomila violoncelli" e per settimane sono stato in classifica davanti ai Beatles, dietro a "Mi ritorni in mente" di Lucio Battisti».


Un bell'ingresso nel mondo della musica.


«Sono entrato dalla porta principale, un disco che vendette più di 300 mila copie al primo tentativo. "Da oggi questo è il tuo mestiere, ma devi stare attento", mi disse Gianni Meccia. "È arrivato il successo: è bastata una sigla a lanciare una voce", scrisse Sorrisi e Canzoni. Ero stato fortunato».


Quanto è durato il successo?


«Ho inciso una quindicina di 45 giri dei quali almeno tre hanno venduto centinaia di migliaia di copie. A un certo punto mi sono chiamato Jerry Mantron e a metà anni '70 con una sigla, "Supersonic band", ho venduto 400 mila copie, il primo esempio di disco-music italiano. Due edizioni del Cantagiro e di nuovo nella parte alta della hit-parade per 16 settimane, una tournèe di otto mesi su una Fulvia coupè. Come autore ho vinto un Festival di Sanremo, quello del 1974, con "Ciao cara come stai", composta assieme a Cristiano Malgioglio e cantata da Iva Zanicchi che due anni fa per Sanremo mi ha chiesto di scriverle la canzone "Voglio amarti" dedicata al marito. Quando Gabriella Farinon annunciò la canzone vincitrice ho fatto un salto sulla poltrona e sono uscito dal teatro a godermi il momento di gloria più intenso della mia vita. Momenti così ti ripagano di tutto quello che poi arriva. La Zanicchi è speciale, mi ha dato una mano nei momenti difficili. Ho inciso anche una pubblicità di successo, la più cantata degli anni '80, quella delle caramelle Tabù, e ho composto il motivo che cantava Enrico Ruggeri per la pubblicità della Fiat 500. Con la canzone "La doccia col cappotto" ho anche vinto il Festival dello Zecchino d'oro del 2009».


Poi tanti anni come cantante sulle gondole a Venezia...


«Ho fatto 16 anni di gondola dopo che è finito il mio matrimonio e sono tornato da Ventimiglia senza niente dai miei genitori che avevano più di 80 anni. Un giorno rientravo dall'ospedale Ca' Giustinian dove era ricoverato mio padre e mi sono fermato in un bar ai Tre Ponti. C'era un avventore che chiamavano Celentano, mi chiese se mi andava di cantare sulle gondole. Era il 1984 ed è diventato il mio lavoro, con qualche parentesi: nel 1987, per esempio, c'è stato il grande successo a Sanremo di "Io amo", la canzone che ha rilanciato alla grande Fausto Leali. L'ho scritta con Toto Cutugno e Franco Fasano. Ho fatto anche la chitarra-bar da Porto Rotondo a Riccione, a Piazza San Marco».


Com'è cantare sulle gondole?


«Per uno romantico come me, vedere sotto il Ponte di Rialto uno che s'inginocchia davanti alla sua donna, le offre un anello e chiede una canzone d'amore... La canzone che ti chiedono di più è "O sole mio" e poi Volare, Santa Lucia, Torna a Surriento. Con questi chiari di luna, in questi rii, in questo specchio d'acqua che ti fa sognare, ti pare di essere in un altro mondo. Sono stato fatto cavaliere della canzone veneziana al Malibran; nel 1992 avevo vinto il Festival della Canzone veneziana con "Venezia un amore", premiato con un leone d'oro».

Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 10:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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