Gli anni veneziani del compagno Bepi, il futuro Stalin

Lunedì 29 Agosto 2022 di Alberto Toso Fei
Josif Vissarionovi Dugavili (illustrazione di Matteo Bergamelli)

VENEZIA - Josif Vissarionovi Dugavili era un 28enne georgiano dalla barba un po' incolta, nel 1907.

Nella Russia dello Zar non aveva avuto vita facile fino a quel momento, essendo un esponente di primo piano di quella frangia estremista del partito socialdemocratico russo i cui appartenenti erano comunemente conosciuti come bolscevichi. Fu infatti per scappare dalle grinfie della polizia politica zarista che quell'anno, di soppiatto, partì nascosto in una nave da carico che trasportava grano dal porto di Odessa fino ad Ancona, dove sbarcò verso la fine di febbraio.

Josif Vissarionovi Dugavili: gli anni veneziani

Ottenuta ospitalità dal folto gruppo di anarchici locali, riuscì a proporsi come portiere notturno all'hotel Roma e Pace, in cambio di vitto e alloggio. Chiuso e timido, per quanto gentile e sorridente, non riuscì però a trovarsi a suo agio con la clientela. Così, nascosto nella sala macchine di un piroscafo di linea, quello stesso anno si rimise in viaggio e sbarcò a Venezia.

Anche in laguna Josif fu bene accolto dal mondo anarchico veneziano, che lo ribattezzò compagno Bepi, e poi Bepi del Giasso. Del ghiaccio, come a ricordarne il luogo di provenienza, non esattamente tropicale. Convintosi a rimanere, il compagno Bepi decise di sfruttare le frequentazioni avute nella natia Georgia con la comunità armena. Era nato a Gori il 6 dicembre 1878 dal calzolaio Vissarion Dugavili e dalla contadina Ekaterina Geladze.

E malgrado la madre (così come il padre) lo picchiasse spesso, per quel figlio lei - devota ortodossa - volle la Scuola Teologica Ortodossa della città, nella quale Koba, questo era il suo soprannome, conseguì il diploma nel giugno del 1894. Dopo l'estate di quell'anno superò gli esami di ammissione e si immatricolò al Seminario Teologico Ortodosso della capitale Tbilisi. Fu proprio in seminario che venne a contatto per la prima volta con il marxismo: già all'inizio del 1895 iniziò a frequentare gruppi clandestini di marxisti rivoluzionari. Fu espulso a causa delle sue simpatie politiche nel 1899.

Ma torniamo a Venezia: Josif capiva e parlava l'armeno, sapeva servire messa con i riti latino e ortodosso, nonché suonare le campane con i rintocchi richiesti da entrambe le confessioni. Si presentò dunque ai Padri Mechitaristi dell'isola di San Lazzaro chiedendo un'occupazione all'abate generale Ignazio Ghiurekian.
Padre Ghiurekian ne fu ben impressionato, e malgrado la notazione che Djugatchsvili aveva denti che brillavano come quelli dei lupi (secondo la vulgata in una lettera della quale si è però perduta traccia), decise di ospitarlo chiedendogli di suonare le campane del convento secondo il rito latino. Ma il compagno Bepi, chissà perché, s'intestardì a dare forti rintocchi buoni per un orecchio ortodosso, sollevando un certo scompiglio nella piccola isola. Alla fine, dopo aver sopportato per alcuni giorni ed essendosi fino a quel momento limitato a qualche rabbuffo il padre generale lo mise di fronte a una scelta: se desiderava rimanere, doveva accettare le norme della congregazione che gli stava dando ospitalità, e chiedere l'ammissione alla comunità come novizio.

Non era cosa per lui. Josif ripartì e nella sua lotta contro l'Impero di Nicola II, decise di intraprendere un lungo e tortuoso viaggio clandestino per arrivare a Berlino per incontrare segretamente Lenin. Alla fine tornò in Russia. Fece in tempo a vivere la rivoluzione da protagonista, per divenire, qualche anno dopo segretario generale del partito comunista e guida dell'Unione Sovietica, con il soprannome di Piccolo Padre e l'universale pseudonimo di Stalin. Josif Stalin. Una storia, incredibile, giocata tra il piccolo campanile di San Lazzaro e le torri del Cremlino, che diede il destro anche a Hugo Pratt, ne La casa dorata di Samarcanda, per far parlare un Corto Maltese condannato a morte dal commissario di frontiera con l'Azerbaigian con l'allora commissario delle Nazionalità, Josif Djugatchsvili, appunto. E, ovviamente, rivolgendosi al compagno Bepi, avere salva la vita. Sulla vicenda della presenza veneziana di Stalin lo storico e ricercatore Emanuele Termini ha scritto sull'argomento un saggio romanzato molto dettagliato, L'acqua alta e i denti del lupo.
 

Ultimo aggiornamento: 30 Agosto, 07:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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