L'avvocata aggredita dal cliente: «Voleva uccidermi, ora ne sono sicura: l’angoscia rimane»

Meri Zorz aggredita il 24 aprile dal suo cliente Giuseppe Silvestrini, poi suicidatosi: «Non riesco ancora a tornare al lavoro»

Domenica 7 Maggio 2023 di Lina Paronetto
L'avvocata aggredita dal cliente: «Voleva uccidermi, ora ne sono sicura: l’angoscia rimane»

ODERZO - «Voglio mandare un appello, affinché possa essere utile questa mia esperienza: facciamo rete intorno alle persone sole, nell’ultimo periodo ci sono sempre casi di solitudine, di gente che si porta dentro dei traumi che non emergono se non quando sfociano in questi episodi di violenza». Ospite in diretta ad Antenna Tre, l’avvocatessa di Oderzo Meri Zorz, accoltellata nel suo studio lo scorso 24 aprile da un cliente che si è poi tolto la vita, si rivolge alle realtà istituzionali e sociali di ogni livello, Chiesa compresa: occorre stare accanto a chi, come il 53enne Giuseppe Silvestrini, si ritrova da solo con un fardello troppo pesante da portare, come la cura dei due fratelli disabili.

Solo “intercettando” questo disagio, condividendo questo peso, indicando tutte le vie d’uscita percorribili, si può ridare speranza e disinnescare eventuali gesti di disperazione. 


IL RACCONTO
Meri racconta anche della grande solidarietà ricevuta dopo l’aggressione: non solo chi l’ha soccorsa, ma anche il personale sanitario dell’ospedale di Oderzo, i colleghi avvocati, gli stessi giudici, e poi le maestre della figlioletta, le mamme dei compagni. La mano fasciata, il nervo ulnare reciso e difficilmente recuperabile, la professionista, che ha intrapreso delle sedute di psicoterapia, ancora non è tornata al lavoro e per adesso preferisce non farlo: «Mi prendo il mio tempo – spiega - capirò quanto mi serve, intanto proseguo il mio percorso psicologico, vediamo dove mi porterà». 


L’ANGOSCIA
Perché l’angoscia per quegli istanti terribili è rimasta. «Come sto? Non posso dire di stare bene, perché a parte le ferite fisiche che comunque si sentono, il ricordo, la presenza della violenza che ho subito è quotidiana, costante, in ogni momento della giornata». Con l’andare dei giorni, racconta, alcuni frammenti di quegli istanti si sono offuscati, come se la sua stessa memoria la stesse aiutando a cancellare ciò che fa più male. Meri racconta di essere stata certa in quel momento che sarebbe morta: «Rispetto ai primi giorni, ora sono convinta che la sua intenzione fosse davvero quella di uccidermi. Mi era sopra, era armato, avrebbe potuto farlo: se non è andata così è perché non è stato capace di farlo, non perché non volesse». Ripercorre l’aggressione, la ricerca di aiuto, Giuseppe che svolta l’angolo ed esce dalla sua visuale, i primi soccorsi. 


IL FUNERALE
Si commuove rivedendo in diretta le immagini dei funerali di Giuseppe, a cui non era presente: «Avrei voluto andarci, forse psicologicamente mi avrebbe fatto anche bene, ma ho ritenuto che fosse un momento solo suo, che non fosse il caso di aggiungere altro clamore». Esequie molto partecipate, con il paese che si è stretto alla famiglia Silvestrini: «Forse troppo tardi – commenta la professionista, riferendosi alle difficoltà seguite alla morte del padre - Spero che quello che è accaduto a me possa essere di aiuto alle comunità, e ne vedo tante nel mio lavoro, che hanno al proprio interno casi come questi. Ci sono persone, come Giuseppe, che non sono in grado di reggere queste situazioni. E si rischia di finire così». 
Il 53enne di Mansuè, infermiere all’Oras di Motta di Livenza aveva in sé «dei mostri» conclude,« imprevedibili» che quel giorno hanno avuto il sopravvento, portandolo a scatenare la sua furia su quella che considerava la sua «ancora di salvezza, il suo angelo, la sua luce alla fine del tunnel». Il rapporto di fiducia rischiava di chiudersi: «E ora mi è chiaro che quell’ipotesi, quella possibilità che lui aveva intuito, aveva sancito la mia fine». 

Ultimo aggiornamento: 17:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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