Franceschi (Grafica Veneta): «Noi sfruttatori? No sfruttati. E da ora assumerò solo veneti»

Venerdì 15 Ottobre 2021 di Angela Pederiva
Fabio Franceschi
34

In questi 80 giorni ha fatto un silenzioso giro del mondo nell’imbarazzo, nel dispiacere, nella rabbia. Ora che i manager Giorgio Bertan e Giampaolo Pinton hanno patteggiato, per la vicenda del caporalato pachistano che in estate ha scosso Grafica Veneta, Fabio Franceschi è pronto a ripartire. E a parlare: «Ma quali sfruttatori, noi siamo dei truffati», sostiene l’industriale da 200 milioni di libri all’anno.

Come poteva non sapere delle vessazioni e delle violenze?
«Partiamo da una premessa fondamentale: Grafica Veneta è una multinazionale, con 800 dipendenti distribuiti fra Trebaseleghe e Chicago. In fondo allo stabilimento padovano, che è lungo un chilometro, lavoravano mediamente 8 pachistani, che cambiavano ogni due o tre giorni. Non erano dipendenti nostri, ma della ditta Bm Service, fornitrice nostra così come di Mondadori e altri, secondo uno schema di terziarizzazione totale: noi commissionavamo le scatole, loro organizzavano l’attività; loro fatturavano, noi pagavamo. Ci costavano un po’ di più, ma ci garantivano la flessibilità. Nella storia del pestaggio non entro, c’è un processo in corso e non mi riguarda. Quanto invece al lavoro, non abbiamo mai saputo di maltrattamenti: né io, né i miei dirigenti, ma nemmeno la Rsu e i sindacati. Se dovevamo controllare cosa avveniva in un’azienda esterna, tanto valeva assumere direttamente il personale. Comunque per chiudere il capitolo ho tirato fuori di tasca mia i 220.000 euro di risarcimento per le vittime». 

Cos’ha provato a leggere le carte dell’inchiesta?
«Mai nessun dubbio sull’onestà dei miei manager. Bertan è un boyscout: piuttosto di fare un torto a qualcuno, ci rimette del proprio. Pinton è maturo e affidabile. Le intercettazioni? Sono interpretabili. Anche quella in cui sembrava che venisse detto di cancellare le timbrature per non mostrarle ai carabinieri... No, era un discorso più complesso, riguardava il doppio sistema che abbiamo: uno riguarda il nostro personale dipendente, l’altro la sicurezza dei presenti in caso di incendio. Ho capito subito che c’era stato un malinteso e per fortuna l’ha compreso anche la Procura. I nostri badge ci hanno salvati, mentre i pachistani avevano solo parole, testimonianze che si sostenevano l’una con l’altra, senza documenti. Ce n’è uno che ha lavorato 4 giorni e adesso chiede salari arretrati per 100.000 euro. Ce n’è un altro che ha dichiarato di aver lavorato nella stessa giornata 12 ore da noi e 12 ore da altri. Ma allora questa è una sagra... O un’associazione a delinquere».

Sono parole forti.
«Lo so. Ma ci ritroviamo 50 persone che pretendono qualcosa come 4,7 milioni, quando dai nostri calcoli saranno al massimo 35.000 euro. Deciderà il giudice chi ha ragione, di certo noi andremo fino in fondo per difenderci dalle strumentalizzazioni e dalle calunnie». 

Da parte di chi?
«Non della magistratura, che dopo il pestaggio ha voluto giustamente scoperchiare il vaso e ha cercato di fare chiarezza. Mi riferisco a certi sindacati. Eravamo talmente cattivi che la sera degli arresti si sono presentati i pachistani a chiederci per favore di assumerli e abbiamo chiuso un verbale con la Slc Cgil per la contrattualizzazione di 15 persone. Ma tre giorni dopo la Fiom e i Cobas sono venuti a dirci: dettiamo noi le condizioni. Ho risposto che non potevano pensare di aprire un negoziato con questi toni. Così hanno scatenato la guerra». 

Ingaggerete i pachistani?
«No, la trattativa è totalmente chiusa, anche perché i nostri collaboratori non li vorrebbero più come colleghi, dopo tutte queste cattiverie. Negli ultimi due mesi, avendo deliberato di non rivolgerci più a cooperative o presunte tali, abbiamo assunto direttamente 60 addetti. Tutti veneti: abbiamo deciso che d’ora in avanti faremo esclusivamente così». 

In quei giorni aveva fatto discutere la posizione della dem Vanessa Camani: «Va ripensato il modello di sviluppo del Nord Est». Come l’ha valutata?
«Sono state parole ingiuste. Il sistema Nordest è sano, è una delle prime economie nel mondo, è responsabilità sociale. A maggio del 2020 cominciava un’inchiesta che mi avrebbe sbattuto sui giornali come il mostro, 32 prime pagine neanche avessi fatto crollare il ponte Morandi. Ma in quello stesso mese spaccavo a metà una rotativa per regalare 6 milioni di euro in mascherine ai veneti, anziché spenderli per comprarmi una barca. Papa Ratzinger me l’aveva detto, quella volta che gli avevo donato un autotreno di libri per il Giubileo: “Fai tutto il bene che vuoi, ma aspettati il male”. Aveva ragione: a causa di quel dibattito su di noi, abbiamo patito un danno all’immagine che alla fine ci costerà qualche milionata, fra l’Europa e gli Stati Uniti». 

Come l’hanno presa gli americani, sensibili al tema?
«Molto male. Avevamo stampato i libri di Michelle e Barack Obama, stiamo discutendo il titolo di Kamala Harris. Ma in inglese “caporalato” si traduce “slavery”, schiavitù, un concetto comprensibilmente inaccettabile per loro. Primari editori ci hanno messo in standby, un cliente con cui ad agosto avremmo dovuto ufficializzare un contratto triennale da 50 milioni l’anno, ci ha imposto di fare l’operazione a Chicago e non a Trebaseleghe perché non si fida più dell’Italia, di un sistema che non dà certezze. Così mi piange il cuore, ma non posso fare un investimento da 200 milioni e 400 dipendenti nella mia terra».

E gli intellettuali italiani che non vogliono più essere stampati da Grafica Veneta?
«I grandi ci hanno testimoniato solidarietà.

Maurizio Maggiani e qualche mezzo scrittore hanno avuto il cattivo gusto di usare la nostra difficoltà per provare a vendere qualche copia in più di libri mediocri».



Chi le è stato più vicino?
«Luca Zaia, Mario Carraro, Sergio Giordani, che ringrazio. La politica è sparita. Forza Italia? Non so neanche più se esista. Ma li capisco: era un’accusa così infamante, che ci voleva coraggio per difendermi. Di peggio avrebbero solo potuto darmi del pedofilo». 

Non è stata forse peggiore l’esperienza della malattia?
«Allora mi avevano dato giorni di vita, ma sapevo di poter combattere. Qui invece mi sono sentito impotente. Per fortuna però è capitato a un gruppo solido e liquido come Grafica Veneta. Se una simile gogna mediatica mondiale fosse successa a un povero artigiano, penso che si sarebbe ammazzato».

Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 10:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci