Diego Dalla Palma si confessa: «Quando morì mia mamma e io mi sentii felice»

Sabato 27 Aprile 2024 di Giambattista Marchetto
Intervista a Diego Dalla Palma

Diego Dalla Palma è un fiume in piena, nelle interviste come mentre si discute sulla gelateria più interessante di Padova - la città dove ha scelto di fare base, tornando in Veneto dopo esser stato cittadino del mondo. E forse per dare spazio alla sua inesausta volontà di raccontare è nato un paio di settimane fa il podcast "Vivo-Confessioni nella tempesta", prodotto da Show Reel Studios (su tutte le piattaforme), che diventa un contenitore ampio e variegato per raccontare una vita costellata da sfide e passioni.

Dalla Palma, è un podcast strettamente personale?
«È totalmente personale, ma cerco di raccontare quanto mi è servita una grande vittoria e cosa ho imparato da una grande sconfitta, ripercorro gioie immense e dolori devastanti che mi hanno segnato.

Racconto cosa è successo a me, ma perché serva anche come spunto di riflessione per chi ascolta».


Racconta di grandi dolori?
«Quando ero giovane ho subito atti di bullismo e questo mi ha fatto soffrire, ma probabilmente un dolore insanabile deriva dal non aver ascoltato abbastanza mio padre quando mi raccontava della sua esperienza in guerra. Mio padre è stato un maestro di vita straordinario. Era saggio e di fronte alla cattiveria sorrideva; aveva un senso di leggerezza che mi ha trasmesso. Il fatto di non averlo ascoltato abbastanza ancora mi lacera».


E se pensiamo a una grande gioia?
«Può sembrare un paradosso, ma ho vissuto una grande gioia quando è morta mia madre. Forse 10 anni fa non avrei risposto così, ma quando si è spenta in quell'ospedale di Asiago e ho visto il suo volto rasserenarsi per me è stata una gioia straordinaria. È stato un momento bellissimo, che mi ha riportato a quando io stesso avevo visto in faccia la morte».


Per lei il coma infantile, col rischio di morire di meningite, è stato un momento cruciale?
«Quando ero in quello stato di sospensione, ho vissuto lo stesso senso di leggerezza che poi ho rivisto in mia madre. Quindi sì, ci sono momenti importanti di gioia in cui ho incontrato la morte».


Quali spunti vengono dal suo racconto per chi l'ascolta? Quali sono le parole chiave?
«La tenacia ad ogni costo. La sopportazione del dolore. La perseveranza, la costanza, il metodo e il fatalismo. La passione e la consapevolezza, ma prima di tutto il coraggio, senza il quale non si va da nessuna parte».


Cosa è per lei il coraggio?
«Lo riassumo in una scena: ero a Cefalù sul mare e stava arrivando una tromba d'aria; tutti scappavano eppure io sono rimasto fermo, mi sono aggrappato a una balaustra o ho resistito alla tempesta mentre intorno a me volavano cose. Ero in una fase della mia vita in cui mi andava tutto storto, ero pieno di debiti ed era finita una storia molto importante. Però sapevo che sarebbe passato, come quel diluvio universale. Ho capito di avere il coraggio per andare avanti».


Coraggio e incoscienza?
«A volte li ho confusi e bisogna stare attenti. Ecco, non ho mai scansato la sconfitta».


Alla fine chi osa vince?
«Non necessariamente, ma chi osa può essere fiero di se stesso. Una vittoria o una sconfitta sono solo merito o colpa sua».


Come si conciliano metodo e fatalismo?
«Il metodo è l'aritmetica del fatalismo. Oggi devo avere metodo anche per scendere una scala, quando ero giovane dovevo avere metodo per lavorare e viaggiare. Poi se tutto va male subentra il fatalismo, che non vuol dire improvvisazione. Io mi preparo come un orologio svizzero, poi se qualcosa comunque non funziona alzo le braccia e vado a mangiare un gelato».


Appassionato di gelati?
«Se la passione per il gelato e in generale per tutto ciò che è dolce deriva dal bisogno di affetto, allora io sono assetato d'amore».


Ha rimpianti?
«Di non aver viaggiato di più quando il fisico lo permetteva. E di non aver colto l'occasione di andare a Hollywood quando Dante Spinatti, un grande artista delle luci, partì per l'America per lavorare come direttore della fotografia con un giovane regista promettente - era Steven Spielberg e mi propose di seguirlo. Erano i primi anni Settanta e in quel momento ho rifiutato per una storia d'amore che poi è stata una delusione».


Ha sempre messo i sentimenti prima delle strategie?
«I sentimenti sono tutto per me. L'amicizia, l'amore e la passione sono sempre sopra ogni strategia. Perché le persone sono fondamentali. Invece sul lavoro sono pura strategia».

Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 14:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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