Da prof di lettere a suora: la nuova vita di Madre Alessandra inizia a 40 anni

Giovedì 30 Settembre 2021 di Laura Cenni
Madre Alessandra Cantaluppi

FELTRE - Da insegnante laica a religiosa: Madre Alessandra Cantaluppi domenica 26 settembre a Lipomo di Como ha pronunciato i voti entrando definitivamente nella Congregazione canossiana con la professione solenne, scelta avvenuta anche grazie all'amicizia con Don Roberto Malgesini, il sacerdote ucciso un anno da un uomo che lui aiutava e che operava appunto nella parrocchia comasca dove abitava la docente ora suora.
Da oltre due anni Madre Alessandra vive e insegna all'Istituto canossiano Vittorino da Feltre di Feltre dove insegna Lettere alla scuola secondaria di primo grado e al Liceo.
Si conclude così felicemente un percorso di vocazione avvenuto in età matura dato che Madre Alessandra ha compiuto i quaranta anni.


Come è cominciato il suo rapporto con le madri canossiane?
«Io non le conoscevo direttamente perché non avevo mai avuto a che fare con queste religiose.

Ma nel 2008, da neolaureata in Lettere antiche, cercavo lavoro e una mia amica mi ha indirizzato verso il loro istituto di Como perché sapeva che cercavano una professoressa di italiano. Ho cominciato così il mestiere di insegnante».


Ma lei era già credente e praticante?
«Si perché frequentavo la chiesa di Lipomo, il mio paese natale, ero operativa in oratorio e come catechista. Avevo già capito che per me era importante mettermi a servizio dei più giovani anche nella mia attività lavorativa. Forse in quegli anni attraversavo un tempo di ricerca interiore, cercavo la mia felicità e un progetto di vita. Avevo fatto anche qualche esperienza missionaria. Così sono trascorsi quattro anni di insegnamento come laica. Una occasione per conoscere attraverso le madri canossiane uno stile di vita e un carisma: mi aveva colpito lo stile di Maddalena di Canossa che aveva una attenzione particolare alla formazione culturale, spirituale e umana per far fiorire le vite dei più giovani. Mi sono subito sentita a casa mia: la passione che c'era già di lavorare con i giovani si è unita alla vita di preghiera e di comunità con il Signore».


È iniziato così il suo percorso vocazionale? Quali sono stati i vari passaggi?
«Ho creato un rapporto particolare con madre Giusy e mi sono avviata nel 2012 al Postulato trasferendomi a vivere all' interno della comunità canossiana di Como, immersa nella mia potenziale scelta di vita, mentre portavo avanti anche l'insegnamento. Nel 2013 entro nel Noviziato, due anni di iniziazione alla vita consacrata, un tempo di discernimento. Nel 2015 ho fatto la prima professione di fede nella congregazione di Verona, poi ho preso i voti temporanei che ho rinnovato per sei anni consecutivi, trascorsi tra Monza e Feltre. Domenica è arrivato il sì definitivo al Signore».


Questo percorso è stato condiviso anche con altre potenziali novizie? Quali proporzioni ha il cosiddetto calo delle vocazioni?
«Quando ho cominciato io il mio cammino c'era anche un'altra ragazza, una albanese. Lei però ha abbandonato. Poi per cinque anni non c'è stata nessuna altra persona in tutta Italia che si sia avvicinata alla vita canossiana. Alcune madri intorno ai cinquanta anni hanno anche chiesto di gettare l'abito. Attualmente so che c'è una novizia che fa questo cammino con una pausa di sette anni dopo di me. Dire un si definitivo oggi, secondo me è complesso dato che viviamo in un clima di provvisorietà aumentata anche dal Covid».


Un rapporto speciale l'ha legata a Don Roberto Malgesini, ucciso giusto un anno fa da una persona che lui aiutava abitualmente. Che ricordo ne ha lei?
«Don Roberto all'inizio del duemila era stato vicario proprio nella mia parrocchia di Lipomo, si occupava dell'oratorio quindi lo frequentavo e collaboravo con lui negli anni dell'Università. Chiunque lo conoscesse restava conquistato dalla sua umiltà e capacità di entrare in empatia con tutti. È stato un uomo vero, un testimone autentico, di poche parole, non un teologo ma ricco di gesti significativi: hanno fatto presa su un buon numero di persone che hanno intrapreso esperienze nel volontariato o addirittura nella vita consacrata. Lo chiamerei un testimone vocazionale che ha spinto molti a mettersi a servizio dell'Altro. Anche mio fratello grazie a lui prima aiutava nella Caritas e ora è Sindaco di Lipomo, una vocazione nel servizio. In qualsiasi momento io avessi bisogno citofonavo e don Roberto mi riceveva e mi ascoltava. Lo incontravo tutte le volte che potevo e l'avevo visto anche a fine agosto 2020. Il 15 settembre 2020 lui è stato ucciso. È stata per me una grazia incontrare Don Roberto, sempre accanto nei miei passaggi di fede».


Che cosa spera che possa mostrare o indicare la sua parabola spirituale?
«Mi auguro che possa aprire uno squarcio sull'Altro, possa smuovere o provocare ad alzare gli occhi al cielo, a tralasciare tutta la sofferenza di questo momento e la materialità e riuscire a vedere quello che può dare significato vero alla vita e dare speranza. Io mi sono fidata e affidata al Signore: lui le promesse di felicità le mantiene sempre, anche se non nel modo in cui tanti se lo aspetterebbero. Questo da la fede e la fiducia di buttarsi in questa avventura, come in un matrimonio». La comunità canossiana feltrina attualmente è composta da sei madri, che hanno partecipato commosse alla cerimonia tenutasi a Lipomo: Madre Graziella, Madre Reginetta, Madre Eileen, Madre Maristella e Madre Adriana la superiora dell'istituto. Sabato nel Duomo di Feltre alle 20.30 si terrà una veglia vocazionale.

Ultimo aggiornamento: 1 Ottobre, 10:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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