Elezioni in Veneto. Mirco Badole, l'ultimo parlamentare leghista e bellunese a Roma: nelle liste non ci sono candidati della provincia

Mercoledì 24 Agosto 2022 di Lauredana Marsiglia
Mirco Badole

BELLLUNO - Paolo Bampo e Donato Manfroi furono i primi parlamentari bellunesi della Lega, nel 1992, Mirco Badole è invece l'ultimo di una lunga e massiccia presenza parlamentare locale targata Lega. Almeno nella ormai prossima Legislatura, la XIX. Nelle liste non c'è traccia di militanti dolomitici.

Tutti a casa. Eppure la provincia di Belluno è stata uno dei tasselli di forza nella richiesta di autonomia da parte della Regione Veneto, vessillo sbandierato per anni e ormai sbiadito senza aver mai sventolato sui Serenissimi cieli. Classe 1966, ex sindaco di San Gregorio nelle Alpi, leghista di lungo corso, Badole fa fatica a trattenere la delusione, la rabbia.


Ma lei si sarebbe ricandidato?
«Sinceramente no, non ho più l'entusiasmo che avevo cinque anni fa. L'ambiente è sempre più difficile. Ho messo a disposizione il mio nome solo per spirito di servizio, nel caso fosse necessario».


Clima difficile nel partito o nel Parlamento?
«Diciamo che è molto complicato mantenere gli equilibri interni al partito, soprattutto a livello nazionale e federale. Si cercare di trovare sempre la quadra, ma non si possono sempre ingoiare bocconi amari».


Cos'è che l'ha infastidita?
«Si parla tanto di rispetto dei cittadini, di rappresentanza dei territori, poi quando si va al dunque questo passa in secondo piano, come accaduto stavolta. Solo Fratelli d'Italia, con Luca De Carlo, ha dato rappresentanza al nostro territorio. E questo è un dato oggettivo, inconfutabile».


Perchè, a suo avviso, è venuta meno l'attezione per Belluno?
«Qui è inutile fare i buonisti: il motivo è che Belluno vale poco. A Roma alzano appena, appena la testa solo se sentono il nome di Cortina».


Ma il provinciale avrà ben presentato una rosa di candidati?
«Certo, come era nell'ordine delle cose. Avevamo presentato una rosa di cinque nomi, tutti validissimi: Andrea De Bernardin, Gianvittore Vaccari, Tatiana Conte e Marianna Hofer. Nomi che sono stati consegnati al nazionale, ora commissariato con il padovano Alberto Stefano. Purtroppo solo ieri sera (lunedì, ndr) sono venuto a sapere che non c'era alcun bellunese. La stessa cosa è successa in altre province».


Ha deciso tutto Matteo Salvini?
«Credo che lui abbia deciso ben poco a livello federale, che per noi significa il nazionale, le direttive le ha prese dai nazionali, che per noi significano regionali».


Ma non c'erano accordi per dare rappresentanza a tutti i territori?
«Certo che c'erano. L'accordo di cinque anni fa era che Belluno e Rovigo dovessero sempre avere una rappresentanza, accordo che è stato mantenuto solo per Rovigo con la Giacometti».


Tanto entusiasmo cinque anni e fa e ora tanta amarezza, cos'è che è cambiato in questo lasso di tempo?
«C'è stato un inasprimento del confronto, con atteggiamenti che mi hanno fatto riflettere. Il clima è cambiato, non so nemmeno io come, ma di fatto sembra essere venuto meno il rispetto tra la base e i vertici. Tutto è diventato più difficile specie dopo che abbiamo lasciato i 5 Stelle. Seppur con tante difficoltà io ero per un proseguimento di quell'esperienza. Aver mollato, a mio giudizio, è stato un sbaglio. Dovevamo tenere duro».


Entrare nel Governo Draghi è stato un errore a suo modo di vedere?
«Probabilmente neanche Salvini si aspettava che i consensi scendessero in questo modo. Chi è rimasto fuori, invece, come FdI, ha visto crescere la propria forza».


In provincia la Lega ha avuto sempre percentuali elevate dal 20 per cento in su, fino al botto del 2018 con il 32 e oltre. La mancanza di un rappresentante bellunese potrebbe contribuire ad una possibile discesa?
«Belluno ha sempre portato molta acqua al mulino della Lega. Decideranno i cittadini. È certo che non avere per la prima volta un nostro candidato non sarà certo una cosa positiva per il partito, partito che non ci ha rispettato quanto noi lo abbiamo rispettato».


Sta meditando di scendere dal Carroccio?
«A caldo non si prendono decisioni. Ci sto pensando. Sono leghista di vecchia data che aveva delle idee comuni, ma queste idee nel frattempo sono cambiate».


Allora è la Lega che è cambiata?
«È cambiato l'ambiente. I primi due anni al governo con i 5 Stelle, pur con tante difficoltà c'era un'altra mentalità. Poi non so ne nemmeno io cos'è cambiato. Tutto è diventato più difficile».


E ora cosa farà?
«Tornerò al mio lavoro che non vedo da tempo. Questi anni a Roma non è stato semplice, molto faticoso. Anche perché io sono stato tra i parlamentari più presenti. Essere costanti e attivi non è un impegno da poco».


Potrebbe ricandidarsi come sindaco di San Gregorio nelle Alpi, ovvero un ritorno alle origini?
«Ero contento di aver lasciato l'incarico, perché anche fare il sindaco non è un impegno di poco conto. Comunque vedremo più avanti. Per ora resto alla finestra».

Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 11:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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