IL CASO
Dinamico, fantasioso e aperto alle novità. Così, a primo acchitto,

Venerdì 15 Dicembre 2017
IL CASO
Dinamico, fantasioso e aperto alle novità. Così, a primo acchitto, si presenta il mondo della moda. Basta scavare più in profondità, però, per scoprire che la tanto urlata libertà è ostacolata da un preconcetto che ormai da anni fa discutere, in passerella ma anche al di fuori: il razzismo, che percorre casting, servizi fotografici, sfilate, campagne pubblicitarie, ma anche la parte più puramente creativa, tanto che nell'Olimpo dei grandi stilisti, finora nessun designer di colore ha trovato un posto al sole. Ad avvalorare questa tesi ancora oggi c'è Africa Fashion Gate - La moda veste la pace, associazione senza scopo di lucro e laboratorio etico permanente contro i fenomeni di razzismo, xenofobia e antisemitismo della moda, delle arti e nello spettacolo che il 20 febbraio 2018 presenterà al parlamento europeo, a Bruxelles, un video-spot dal titolo No Black No Fashion, contro le forme discriminatorie nella moda nei confronti delle modelle e dei designer neri.
ICONE
La diatriba sulla scarsa presenza di addetti ai lavori di colore nel fashion system è diventata spinosa da più di un decennio. Le passerelle di New York, ma anche di Parigi, Milano e Londra sono dominate da modelle bianche, sin dal finire degli anni 90, quando si chiuse l'era delle supermodel Helena Christensen, Cindy Crawford, Naomi Campbell, Elle MacPherson e Claudia Schiffer. Secondo Jezebel, blog statunitense che ha monitorato la presenza delle minoranze nei défilé, l'80% delle mannequin sono bianche, e solo il 3% di colore. Fra le bianche sono sempre più rare le modelle mediterranee, mentre le indossatrici dell'Est sono in schiacciante maggioranza. Fra le minoranze, le sudamericane sono in netto declino così come le africane, mentre sono in deciso aumento le asiatiche. Stilisti come Phoebe Philo per Céline, Victoria Beckham e Raf Simons per Dior hanno presentato in passato intere collezioni senza una modella nera.
D'altra parte secondo gli analisti di settore, avere modelle nere in passerella o in pubblicità non attiva un meccanismo fondamentale nella moda, soprattutto di lusso: il desiderio di acquisto. Per cui la scelta di puntare su mannequin bianche rappresenterebbe una sorta di razzismo del fatturato: in Asia l'alta moda incassa sempre di più, in Europa e nella black America sempre di meno, per cui viene scelto il modello dominante di bellezza per vendere. A dare segnali di cambiamento è Gucci che, in controtendenza, ha rispolverato per la sua campagna pre-fall 2017, Soul Scene, atmosfere e volti decisamente black, in perfetto stile anni 70, quando sulle passerelle c'era molta più parità. Mentre per quella del 2018 ha immortalato modelli neri quasi come novelli Saupiers, i dandy coloratissimi e chic del Congo che devono il loro nome alla Sape, Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes (che in francese significa: La società delle persone creatrici di atmosfera ed eleganti), un movimento sociale nato a Brazzaville.
Ma non solo. La mannequin Deddeh Howard, modella di origine somala ha ideato sul suo profilo Instagram una campagna che ha fatto il giro del mondo. Si chiama Black Mirror e, grazie all'aiuto del fidanzato della Howard, il fotografo Raffael Dickreuter, ricrea gli scatti delle campagne più famose e imita lei stessa le pose delle colleghe scelte dai grandi marchi. Sulle pagine social della Howard la si può ammirare al fianco di Gigi Hadid, Linda Evangelista, Bianca Balti, Kate Moss, mostrando come queste campagne, nella versione black avrebbero comunque avuto un grande appeal.
Nel 2008, fu una copertina di Vogue Italia fortemente voluta da Franca Sozzani a riaccendere la miccia sul tema razzista con un numero di culto: It's fashion racist? (La moda è razzista?). Di lì in poi è stato un susseguirsi di denunce ed azioni di sensibilizzazione del sistema moda. Ad ergersi a paladine della prima ora di questa causa due modelle d'altri tempi, Iman, mannequin somala protagonista delle sfilate di Calvin Klein, Versace e Yves Saint Laurent negli anni 70 e 80, e Bethann Hardison (che sfilava negli anni 60), entrambe a capo di un movimento che vuole fare pressioni sugli stilisti newyorchesi perché usino più indossatrici nere. Più globale, invece, l'attività di Naomi Campbell, la Venere Nera che nell'immaginario collettivo è la top model di colore più rappresentativa: nel 2010, insieme a Nick Knight hanno creato un videoclip sul razzismo nel mondo della moda in cui lei imbracciava delle mitragliatrici. Il suo impegno per la causa è continuato anche quando ha passato il testimone a Jourdan Dunn, Joan Smalls e Winnie Harlow, modella famosa per aver puntato sulla sua diversità - è affetta da vitiligine - facendone la sua forza.
Veronica Timperi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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