Il 5 dicembre 1870 moriva a Dieppe Alexandre Dumas, uno dei padri del romanzo storico-popolare,

Sabato 5 Dicembre 2020
Il 5 dicembre 1870 moriva a Dieppe Alexandre Dumas, uno dei padri del romanzo storico-popolare, creatore di quelle figure che hanno scatenato la nostra fantasia adolescenziale, come D'Artagnan o il Conte di Montecristo. Lo ricordiamo con simpatia nei momenti in cui molti di noi, costretti a una semidetenzione casalinga, si dedicano alla lettura senza impegnarsi nelle estenuanti lezioni di storia di Tolstoj o nelle tenebrose nevrosi di Dostoevskij. In realtà Dumas fu molto più di un ideatore di avventure, e ispirò quel teatro moderno, dinamico, appassionato e immaginativo, che si affrancava dall'accademismo classico e dai suoi criteri di unità di luogo, di tempo e di azione.
GLI ESORDI
Nato il 24 luglio del 1802, a 27 anni Dumas aveva già conquistato la Francia con il dramma romantico su Henry III, cui Victor Hugo avrebbe risposto l'anno successivo con l'Hernani, che Verdi avrebbe poi tradotto in capolavoro musicale. Ma in seguito, un po' per carattere e un po' per saldare i debiti, Dumas preferì dedicarsi ai romanzi più redditizi. E furono questi che lo resero celebre.
Les trois mousquetaires fu pubblicato a puntate, come feuilleton del giornale Le Siècle tra il marzo e il luglio del 1844. Fu uno dei primi esempi di quella narrazione rateizzata ed episodica che mirava a una sintesi tra l'effimero della stampa quotidiana e la duratura consistenza del libro. L'uso e l'abuso che ne furono fatti successivamente hanno appannato e avvilito questa forma letteraria, che tuttavia ebbe tra i suoi autori celebrità assolute, da Balzac a Eugène Sue a Emile Zola. Gli scrittori più prolifici, e meno scrupolosi, ne adattavano le vicende in corso d'opera, a seconda dei consensi del pubblico. Un metodo ripreso dalle attuali soap opera, visto che i registi di Dallas, di Beautiful ecc. giravano anche due o tre finali diversi, con un occhio all'andamento dei sondaggi. Del resto lo stesso Sherlock Holmes fu fatto risorgere dal suo autore, che lo aveva incautamente eliminato senza prevedere le reazioni degli affezionati lettori. Nulla di nuovo sotto il sole.
Tutto il mondo conosce la storia del giovane guascone e dei suoi tre compagni, quantomeno per averne visto le imprese in decine di riduzioni cinematografiche e televisive. La più bella, girata settant'anni fa, vede nell'ordine: l'acrobatico Gene Kelly che sbertuccia, tra capriole e sciabolate, le guardie di Richelieu; la fatale Lana Turner nella parte della diabolica Milady che conquista i cuori altrui ma perde la testa propria sotto l'ascia del boia; l'algida Angela Lansbury, (non ancora diventata l'abile Signora in giallo,e ancora felicemente viva a 95 anni) nei panni della regina Anna, moglie dell'imbelle Luigi XIII e madre del futuro Re Sole. E naturalmente un contorno di cospiratori spregiudicati, spioni intriganti, osti venali, ubriaconi litigiosi, di cui Dumas si serve per incarnare i grandi miti dell'immaginazione.
Qui il romanzo popolare e quello storico si fondono nella profonda nostalgia romantica di un'era eroica, anche se l'Europa dell'epoca era afflitta dalla Guerra dei trent'anni e dalla peste descritta nei Promessi sposi. Ma qui non c'è posto per il dramma del conflitto, la sofferenza della carestia o il flagello del contagio, ma solo per l'inesauribile vitalità dei quattro spadaccini che alla fine trionfano sui perfidi complotti di Richelieu e della sua cortigiana. In realtà, chi tradisce la Francia è proprio la regina Anna, amante del duca di Buckingam, mentre Richelieu sventa le trame contro il suo Paese. Ma nemmeno questo scandalizzò i francesi, ammaliati dall'abilità del narratore.
LA TRAMA
L'enorme successo di questo feuilleton fu ripetuto con Il Conte di Montecristo pubblicato solo pochi mesi dopo. Anche qui, la valanga di ricostruzioni filmiche ci esime dal raccontare la storia di Edmond Dantès, incolpato ingiustamente, segregato in una fortezza, evaso con uno stratagemma, arricchitosi con un tesoro, impegnato nella vendetta e infine torturato dai dubbi e dai rimorsi. Nel periodo in cui Balzac stava costruendo la summa sociologica della Comédie humaine e Victor Hugo stava progettando I miserabili, Dumas associò all'avventura e alla suspence il mito romantico del superuomo - non nel senso poi attribuitogli da Nietzsche - ma in quello più complesso del giustiziere che si sostituisce alla legge, diabolico nelle sue rappresaglie e angelico nelle sue generosità.
LA PSICOLOGIA
A differenza della gioiosa spensieratezza di D'Artagnan e della sofferta conflittualità di Athos, Dantès rivela e rappresenta la potenza della ricchezza che si converte in una giustizia retributiva quasi provvidenziale, distribuendo punizioni e ricompense con una logica e un rigore implacabili. Qui troviamo tutte le caratteristiche del romanzo nero: anfratti lugubri, banditi crudeli, potenze occulte, decori fantastici, dove regna il malefico potere del denaro acquisito con la corruzione, l'assassinio e la frode. E tuttavia, malgrado questo spirito quasi pedagogico, il senso del romanzo è nella psicologia del suo protagonista, dove la tragedia del suo passato condiziona la sua inesorabile attività di giustiziere. Giustamente Dantès è stato definito la sintesi dell'eroe romantico, in cui si perpetua il dialogo dell'energia e della malinconia.
Esaltato da questi successi, Dumas condusse una vita agitata quasi quanto quella dei suoi eroi. Si coprì di debiti, li saldò pubblicando romanzi di minor valore, viaggiò per il mondo, combatté in Italia con Garibaldi, scrisse un libro di ricette e morì, come abbiamo visto, il 5 dicembre del 1870. Lasciò (tra i tanti) un figlio, che a causa dell'omonimia molti confondono con lui, e che scrisse La signora delle camelie. Il romanzo non è granché, ma ha il merito di aver ispirato la Traviata di Verdi e la Margherita Gauthier con Greta Garbo. In ogni caso, l'autore non realizzò l'omerico auspicio di Ettore, che il figlio superasse il padre in fama e in valore.
IL CONFRONTO
Tutto sommato sarebbe uno sbaglio inserire Dumas (senior) tra gli autori francesi minori. Certo, nello straordinario panorama della più ricca e feconda letteratura del mondo, la sua immagine è offuscata dalla struggente profondità di Pascal, dalla versatile genialità di Voltaire, dalla sottile psicologia di Flaubert, dal lirismo epico di Hugo, e dallo stile raffinato di Anatole France. In effetti la sua prosa è ridondante e spesso ripetitiva, con un'enfasi che talvolta sfiora il ridicolo. Ma considerando le gioie che essa ci ha dato, e continua a darci, riteniamo giusto che la Francia abbia, nel bicentenario della nascita, portato la salma di Dumas nel Panthéon, il tempio laico della sua cultura e della sua storia.
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