​Mose. La lezione di un errore che non si deve ripetere

Mercoledì 9 Dicembre 2020 di Ario Gervasutti
Mose. La lezione di un errore che non si deve ripetere

L'immagine della beffa è negli occhi stupiti e arrabbiati di chi pensava e sperava di non vedere mai più Venezia sott'acqua.

Il Mose c'è, il Mose funziona, dicevamo: ed è vero. Poi però ci ritroviamo di nuovo con i mosaici di San Marco annegati e i veneziani con i secchi in mano. Questo inatteso ritorno al passato è comunque una severa ma utile lezione per il futuro. Perché ci insegna un bel po' di cose.


Prima di tutto, che è sempre l'uomo a decidere le sorti della sua convivenza con una Natura difficile da domare. E stavolta l'uomo ha sbagliato. Le previsioni davano una marea a 125: un livello considerato accettabile e quindi non così alto da rendere necessario il sollevamento delle paratoie. È vero, piazza San Marco e dintorni sarebbero andati sotto, ma per una misura gestibile da chi è abituato da una vita a fare i conti con le maree, anche se ormai ci aveva preso gusto ad avere i piedi all'asciutto. Il resto della fragile città non si sarebbe accorta di nulla. Invece, nel giro di poche ore le previsioni si sono alzate di 10 centimetri e in poco tempo di altri 10. Ma a quel punto, era troppo tardi per sollevare le dighe.


Inutile addossare troppe colpe ai meteorologi: non hanno la sfera di cristallo, riescono ad avvicinarsi al futuro ma basta un cambio di vento per spostare una nuvola e mutare le carte in tavola. Dieci centimetri in più o in meno sono una goccia, in una situazione (...)
climatica come quelle che ci troviamo ad affrontare in quest'epoca impazzita. Perciò, stabilire che il Mose si dovrà alzare solo quando le previsioni supereranno i 130 centimetri di marea come avviene oggi, oppure i 110 centimetri come è previsto che avverrà quando sarà terminato questo periodo di prova, equivale a giocare alla roulette russa. Perché nessuno potrà mai garantire che da 110 centimetri non si passi di colpo a 135 come è avvenuto ieri.


Conosciamo già le obiezioni di chi in questo momento ha in mano la gestione del Mose: è un sistema ancora in fase sperimentale, ogni sollevamento ha un costo altissimo e quindi va centellinato, infine va tenuto presente che quando si chiudono le porte si chiude anche il porto, e non è un gioco di parole. Ma proprio per questo è necessaria da subito una riflessione su quale sarà la catena di comando che dovrà gestire l'operatività del Mose dopo la fase sperimentale: perché se adesso il rimpallo di responsabilità è un gioco fin troppo facile, poi non sarà più accettabile. L'onore e l'onere non potrà essere affidato a una catena troppo lunga; né troppo lontana, nello spazio e nel tempo. E nemmeno, si perdoni il termine, troppo democratica o ecumenica.

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Dovrà essere trovato un punto di equilibrio tra mille elementi che concorrono a determinare la scelta di sollevare o meno le paratoie. E l'operatività del porto è solo uno di questi. Oggi, appena le acque saranno defluite con la bassa marea, le dighe saranno rialzate e potrebbero restare così anche per i prossimi due giorni. Significa che le navi dovranno restare in mare aperto, e non parliamo delle crociere ma dei mercantili e dei traghetti che rappresentano una parte consistente del ruolo di Venezia città viva, non riducibile a una Disneyland turistica.
Se si alzeranno le dighe quando le previsioni parleranno di 110 centimetri di marea - come sarà opportuno per evitare scherzi simili a quello di ieri - si dovrà mettere in conto la possibilità che il porto sia chiuso per almeno una ventina di giorni l'anno, forse più. E si dovranno mettere in conto anche i costi di sollevamento conseguenti.


Soprattutto, dovrà essere garantito ai veneziani che non hanno atteso per trent'anni un'opera come il Mose, per passare dalla rassegnazione di prima all'angoscia di oggi. Prima erano rassegnati alle maree che ogni autunno e ogni inverno passavano a riscuotere il prezzo del matrimonio con l'acqua, di una coabitazione con la Natura sul filo dell'equilibrio; oggi sono angosciati dall'attesa di sapere se le previsioni hanno indovinato o si sono sbagliate di 5 centimetri. No, non è un compromesso accettabile. Il Mose funziona, è un prodigio dell'ingegno italiano e - senza mai dimenticare le inqualificabili mangiatoie che ne hanno accompagnato la costruzione - dobbiamo esserne fieri: ma proprio perché il mondo ci guarda, almeno stavolta con invidia, non possiamo permetterci situazioni come quelle avvenute ieri che agli occhi di chi non conosce certi meccanismi appaiono incomprensibili. Le macchine non sbagliano, e d'ora in poi neppure gli uomini se lo potranno più permettere.

Ultimo aggiornamento: 11:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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