Le spedizioni punitive di Gaiatto e i camorristi dal Veneto alla Croazia

Giovedì 20 Dicembre 2018 di Cristina Antonutti
Le spedizioni punitive di Gaiatto e i camorristi dal Veneto alla Croazia
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Due giorni di fuoco negli uffici di una commercialista di Pola, ore di discussioni, urla, minacce, personaggi che si presentavano come uomini del clan dei Casalesi e si facevano accompagnare da ceffi spacciati per pugili. L'estorsione di stampo mafioso, nata attorno alla colossale truffa del forex architettata dal portogruarese Fabio Gaiatto con Venice Investment Group, è finita nello studio di un notaio di Pola. Un notaio che - attorniato da avvocati, vittime e mandanti dei camorristi - ha registrato un atto che ha trasformato l'estorsione in un accordo tra le parti. La commercialista ha dovuto persino firmare una lettera di scuse, così l'accordo sarebbe sembrato più genuino.
 
Lei è Karin Perusko. Si deve al suo coraggio se la Procura antimafia di Trieste ha arrestato i sette estorsori che avevano minacciato di far del male alla sua famiglia se non avesse rinunciato al pignoramento dei conti croati di Gaiatto.

Il broker di portogruaro, oltre ai 67 milioni che deve ai risparmiatori truffati con la Venice, aveva debiti anche con la commercialista che dal 2017 curava le pratiche della società delle truffe a Pola. La professionista ha un credito di 100mila euro. Quando le ultime due fatture da 25mila euro sono state ignorate da Gaiatto, lei ha reagito facendo pignorare i conti della Venice. Il giocattolo del trader di Portogruaro si è inceppato e i bonifici destinati ai risparmiatori si sono bloccati. È in questo contesto che entrano in scena i Casalesi. «Se hai problemi, ti aiutiamo noi», sarebbe stata la proposta fatta a Gaiatto. Lui nega di averli contattati. Nega anche di aver investito soldi dei camorristi coinvolti nelle estorsioni. Pare che non sia nemmeno in grado di dire se tra i suoi clienti ci fosse qualche prestanome dei Casalesi. «Di questo parlerà a tempo debito con la Procura distrettuale di Trieste», anticipa il suo legale, Guido Galletti.

Agli atti ci sono gli episodi gravissimi del febbraio 2018, pianificati a Portogruaro e cominciati per le prime intimidazioni a un ex collaboratore di Gaiatto. Le spedizioni a Pola fanno tremare la commercialista e quattro imprenditori italiani che hanno avuto rapporti con Gaiatto, ai quali adesso si chiede di contribuire con soldi, beni e auto fino a raggiungere 12 milioni di euro. Curiosamente la somma da recuperare equivale ai 12 milioni Gaiatto che sostiene gli siano stati sottratti dai suoi ex collaboratori in Croazia. 
LE MINACCEKarin Peruska viene costretta a rinunciare ai 100 mila euro che le spettano. Racconterà che un giorno di febbraio nel suo studio sono piombati cinque italiani che non aveva mai visto prima di allora. Uno si presenta come Gennaro del clan dei Casalesi: doveva riscuotere 10 milioni per lo Zio: «Soldi della famiglia». «Ho saputo da Gaiatto che i soldi ce li ha lei», dice intimandole di sbloccare i conti di Gaiatto. Nell'ufficio ci sono altri due imprenditori italiani. Anche loro vengono minacciati.

Più tardi arriverà in studio anche un agguerrito Gaiatto. La trattativa si protrae per ore, finchè non si arriva all'accordo. La commercialista rinuncerà ai pignoramenti firmando un accordo davanti a un notaio e uno degli imprenditori cederà a Gaiatto auto e terreni per consentire al clan dei Casalesi di recuperare parte dei 12 milioni di euro. Si tratta un terreno e alcuni casolari che si trovano in un promontorio di Pola ora sotto sequestro da parte della Procura di Pordenone (370 mila euro il valore) e auto per 190 mila euro (quattro Range Rover, una Mercedes e una Porsche Cayenne). Altri due imprenditori italiani che operano da tempo a Pola hanno dovuto rinunciare ad alcuni crediti, versare alla Venice Investment 50mila euro e consegnare una Maserati. Anche in questo caso tutto è stato formalizzato davanti al notaio e preceduto da una frase intimidatoria accompagnata dal segno della croce: «Siete due morti che camminano».

IL GUARDASPALLE
Tutto questo avviene mentre a Portovecchio, nell'abitazione di Gaiatto, si stabilisce 24 ore su 24 un uomo dei Casalesi incaricato di proteggere il trader e garantire l'incolumità della sua famiglia. La rabbia dei risparmiatori truffati è tale che Gaiatto rischia di essere aggredito per strada.

Allo stesso tempo il guardaspalle avrebbe dovuto informare il clan sugli spostamenti del trader: i Casalesi volevano sapere «vita, morte e miracoli» di Gaiatto, che chiamavano il dottore.

Ma che i 12 milioni appartenessero al clan camorristico nè l'inchiesta di Pordenone nè le indagini di Trieste lo hanno ancora accertato. La convinzione è che chi ha consegnato quei soldi a Gaiatto non necessariamente fa parte del clan, ma potrebbe aver fatto in modo di accelerare il recupero dell'intero investimento affiancando a Gaiatto i Casalesi. Anche se in una conversazione con un amico Gaiatto dice di essere stato lui stesso a chiedere al clan campano di intervenire: «Loro aspettano - dice all'amico - loro hanno fiducia... se lo Stato sa una cosa, loro ne sanno un'altra, nel senso che sono come lo Stato, lo sai anche tu».

Ultimo aggiornamento: 10:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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