La Gi-Di Meccanica di Dino Giusti compie 40 anni: 70 milioni di fatturato, 300 dipendenti e 100 robot

Lunedì 25 Settembre 2023 di Edoardo Pittalis
La Gi-Di Meccanica di Dino Giusti compie 40 anni: 70 milioni di fatturato, 300 dipendenti e 100 robot

Il trevigiano Dino Giusti da ragazzo giocava sempre a calcio in parrocchia, lo chiamavano Sivori per il carattere e la voglia di segnare. Da imprenditore ha portato la sua Gi-Di Meccanica a diventare un gioiello del Nordest, che ha appena festeggiato i 40 anni di attività.

Dino Giusti da Godega di Sant'Urbano si sente ancora come quando da bambino lo chiamavano "Sivori", un po' perché giocava bene a pallone, un po' perché dell'asso argentino aveva il caratteraccio.

Dice che di allora gli è rimasta la voglia di segnare un gol, almeno un altro gol: «Ci sono calciatori che si rilassano e c'è bisogno di qualcuno che li trascini avanti. Ero quello che nel campo della chiesa comandava anche sui più grandi e davo pedate sul culo a chi non correva. Bisogna fare bene il proprio lavoro». Da imprenditore di successo, a 73 anni, aggiunge: «Non si può più pensare a un'azienda di questa dimensione oggi gestita da una persona sola». E ha incominciato ad anticipare il passaggio di consegne alla figlia Elena.

L'azienda è la Gi-Di Meccanica di Vazzola (Treviso), nell'area di Conegliano: produce componentistica di altissima precisione per l'industria automobilistica e per il comparto della calzatura sportiva. Un fatturato di 70 milioni di euro, 8 in più dello scorso anno; lo stabilimento principale con 200 dipendenti si estende su 16 mila metri quadrati, un secondo con 100 dipendenti a Cluj in Romania. Cento robot, 200 macchine, un magazzino verticale che contiene 4mila tonnellate di acciaio. La fabbrica ha appena festeggiato i 40 anni: «Quarant'anni di una galoppata infinita verso soluzioni estreme che altri non sanno produrre», ha detto il Governatore del Veneto Luca Zaia. Nessun destino da imprenditore era scritto per il figlio di un casaro morto giovane; per un ragazzo mandato a Milano a studiare da perito meccanico con una borsa di studio. Dino Giusti è, a modo suo, il manifesto del secondo miracolo economico veneto, quello di fine anni '70, quando la bottega diventava fabbrica e il mercato si apriva all'esportazione e le macchine prendevano il posto degli operai.

Si era immaginato un futuro da industriale?
«Devo molto alla mia famiglia, siamo tre fratelli. Mio papà Benvenuto era casaro alla Latteria Sociale, accanto aveva mamma Rosina che faceva di tutto perché noi facessimo strada, se a scuola prendevo sette lei voleva nove e ci diceva: "Quello là ha preso più di te, tu non sei capace?". Infanzia bellissima, giocavo a pallone e basta. Abitavo davanti al campo del patronato, dieci ore di calcio. Papà è morto giovane, è stato mio fratello più grande Loris, poi dirigente d'azienda, a sostenere la famiglia e anche i miei studi. Ho fatto l'avviamento industriale per perito meccanico, poi ho vinto una borsa di studio molto importante arrivando davanti a centinaia di concorrenti. La scuola era a Milano, collegata al Politecnico e finanziata dall'Assolombarda, era nata per creare un modello. Si usciva tecnici preparati, ti insegnavano a produrre quello che altri avevano progettato».


Come era quella Milano per un ragazzino arrivato dalla campagna veneta?
«A Milano ero come un pesce fuor d'acqua, studiavo ma andavo spesso al cinema, mi piacevano i film d'azione, di guerra, "I cannoni di Navarone" l'ho visto non so quante volte. Ho mangiato tanta pastasciutta col pomodoro, per fortuna avevo burro e formaggio che mi mandavano da casa. Si studiava 8 ore al giorno e c'era un periodo di 48 giorni in un'azienda per uno stage e un periodo in Inghilterra per imparare la lingua. Devo molto a quella scuola, oltre che alla contaminazione dei compagni più svegli di me: io venivo dalla campagna veneta, mi aiutava il pensiero che per guadagnarti la pagnotta dovevi darti da fare. Quella scuola ti dava un lavoro quasi sicuro, così il primo gennaio 1973 ero già alla Amf Padovan, un'azienda di Conegliano che faceva macchine enologiche. Avevo una preparazione teorica. Lì ho imparato tutto, prima ho messo a frutto la mia formazione nel mondo della carpenteria e saldatura, poi ho avuto la fortuna di fare l'assistente al direttore di produzione e ci sono rimasto cinque anni. Altri cinque anni alla Oclav di Sarano di Santa Lucia, proprietà del commendator Padovan che faceva cerniere per porte e finestre. Lui era un ex operaio, sveglio, furbo, dopo due anni mi ha lasciato carta bianca; però, dopo, quando mi sono messo in proprio non ha gradito».


Che cosa è successo?
«La fortuna è che nel lavoro che facevo avevo contatti col mondo della calzatura e mi sono messo in proprio a 33 anni, giusto 40 anni fa. È stato un anno fondamentale il 1983, mi sono sposato con Anna, che non c'è più. La fabbrica di oggi è figlia di quel momento, varata praticamente subito dopo il matrimonio. Era inizialmente una produzione solo di assemblaggio, con gli anni abbiamo sviluppato le fasi della produzione, con torni e macchine. Ho incominciato a fare un lavoro che entrava in concorrenza con Padovan, ma il momento del mercato era favorevole a un processo produttivo che includeva lo stampaggio a freddo. Facevo leve, cerniere e ci capita l'opportunità di produrre viti per i pattini a rotelle della Nordica. Era il momento giusto per la crescita dell'azienda, per la verticalizzazione della produzione. Sono stati gli anni dell'esplosione della domanda della calzatura sportiva, cambiavano i materiali. Lo abbiamo fatto stando attenti al mercato, seguendo i settori in crescita, profittando della fortissima crescita della calzatura. La Gi-Di Meccanica è nata per questo, oggi è leader nella produzione di manifattura industriale settore scarponi da sci, facciamo leve e meccanismi per il mondo delle calzature, meccanismi per tecnologie. Dico sempre che dei nuovi prodotti noi facciamo le ferramenta. Il momento clou è stato quando abbiamo capito di dismettere i torni e robotizzare la fabbrica; abbiamo risposto con investimenti a un mercato che impone struttura logistica, sistema di qualità, certificazione».


Quanto pesa ad un'azienda avere 40 anni?
«Prima di tutto, pesa la consapevolezza che sono vecchio e che questa azienda deve andare avanti: è frutto di una vita. Ci sono il cambio generazionale, la dimensione manageriale, una struttura che non è più artigianale, contiamo su dirigenti come l'ingegnere Oscar Imazio. Ma mi è rimasta la voglia di segnare un gol, come quando giocavo a pallone. Ho ancora qualcosa da fare. Penso anche al dopo dell'azienda, partendo dalla certezza che mia figlia e i miei collaboratori sono tutti all'altezza. Io credo in quello che ho fatto, l'ho fatto perché volevo segnare un gol, che non deve essere né bello né brutto, ma un gol. Ora la voglia è quella di fare un altro passaggio: invece di essere terzisti di qualità, essere capaci attraverso i nostri processi di fare qualcosa che porti il nostro nome sul mercato finale. Un marchio, una visibilità che dia più futuro. Noi abbiamo battuto il percorso dell'automazione e facciamo formazione interna, abbiamo difficoltà come tutti nel trovare tecnici specializzati, ma formiamo figure professionali che tendiamo a fidelizzare. Vogliamo che questa azienda diventi un obiettivo per chi vuole lavorare».


Il sogno non ha età, qual è il suo?
«I miei dicono che ho un difetto: che faccio tutto per la mia visibilità. Ma per me è un valore. Mia moglie era più sveglia di me, mi prendeva in giro dicendo che facevo solo vitine e ascoltavo canzonette. Sono un amante dei Beatles, di De Andrè di Battisti, "Acqua azzurra acqua chiara" è la mia canzone. È forse un atto egoistico voler vedere riconosciuti i risultati del proprio lavoro? Ho paura sempre di andare a dormire sotto i ponti, anche adesso che ho passato i settanta».


Il ragazzino che chiamavano Sivori adesso più che correre cammina, 12 mila passi al giorno nello stabilimento che è come una strada lunga, qualche volta anche 25 mila, una decina di chilometri, avanti e indietro. Per controllare, per convincere chi non è d'accordo.

Ultimo aggiornamento: 17:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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