Erano le 13.43 del 3 luglio 2022 quando un seracco si staccò dalla Marmolada e una massa di ghiaccio e roccia travolse chiunque si trovasse sulla sua traiettoria. Fu una tragedia, morirono 11 persone, la maggior parte delle vittime era veneta. Quel giorno non si dimentica, fra i soccorsi disperati e frenetici, i primi ritrovamenti, l'angoscia per chi operava che era a rischio ogni istante, perché il ghiacciaio poteva cedere ancora, e poi il dolore delle famiglie dei dispersi. A pochi giorni da quella strage, il presidente del Veneto Luca Zaia ha ricordato quei terribili momenti.
È trascorso un anno dalla tragedia della Marmolada nella quale hanno perso la vita undici persone. Il Veneto è stato il territorio che ha avuto il maggior numero di vittime, otto sono i veneti che hanno perso la vita: Filippo Bari, Tommaso Carollo, Paolo Dani, Nicolò Zavatta, Davide Miotti, Erica Campagnaro, Gianmarco Gallina e Emanuela Piran. Una tragedia che ha colpito chi la montagna l’amava, la viveva e la affrontava pienamente. Una tragedia che ha lasciato il segno: un dolore indimenticabile nelle famiglie delle vittime e dei feriti, di chi si è speso per portare aiuto. I segni sul ghiacciaio della Regina delle Dolomiti si possono ancora osservare, è una ferita aperta.
Almeno per le cordate di alpinisti che si erano avventurate sulle nostre Dolomiti. Era caldo, troppo caldo per quella zona dell’area dolomitica. Alle 13.43 è scoppiato il Big Bang: è l’ora in cui si è registrato il crollo della parte sommitale del ghiacciaio e il distacco di una massa enorme di ghiaccio e pietra che ha travolto i malcapitati. Se prima c’era il sole con la sua luce e la spensieratezza che li avvolgeva, immediatamente dopo è piombato il buio, il silenzio e la catastrofe.
Questo è un anniversario che ci spinge a tenere a mente quanto sia fragile il territorio delle nostre montagne e quanto sia cambiato e stia cambiando, anche a causa dell’evoluzione climatica.
Strage della Marmolada, dopo un anno: senza zona rossa, tutto come prima
La tragedia della Marmolada rimarrà una cicatrice del nostro Veneto che non potremo dimenticare. Abbiamo perso delle vite, le abbiamo piante insieme ai famigliari. Voglio ricordare gli sforzi dei soccorritori, che hanno dato il massimo in quelle ore complicate: senza poter sapere se potessero cadere altre scariche, si sono fatti lasciare dagli elicotteri sul ghiacciaio, ponendo la propria incolumità un passo indietro lo spirito di servizio. Grazie al Soccorso Alpino veneto e trentino, agli uomini del SUEM 118, ai Vigili del Fuoco e alle Forze dell’Ordine. E anche agli uomini delle istituzioni e della Protezione Civile, tutti uniti in uno sforzo corale che ha esaltato le capacità di soccorso.
Ma con la consapevolezza che anche un ambiente molto frequentato e apparentemente friendly, come le nostre Dolomiti, può esprimere fenomeni imprevedibili, intensi, pericolosi: sono le leggi della natura, dove il potere dell’uomo non può che arrendersi. La montagna va vissuta, va visitata, va esplorata, non deve trasformarsi in un museo intoccabile che si guarda da lontano. Anche nel ricordo di chi, quel giorno, ha perso la vita o è rimasto ferito, praticando l’attività che amava.