Le "5 stagioni" di Carlo Budel: «Marmolada, la strage e l'amore diventò odio»

Domenica 4 Giugno 2023 di Raffaella Gabrieli
Carlo Budel

«Ho odiato la Marmolada. E non è stato facile ritrovare il primo genuino amore che per cinque estati mi aveva condotto alla gestione del rifugio di Punta Penia, nel punto più alto delle Dolomiti. Dopo la tragedia dello scorso 3 luglio 2022, che ha provocato undici vittime, nulla è come prima. Ma la vita, per chi resta, deve andare avanti». Carlo Budel, 49enne di Feltre, ha deciso di raccontare quel drammatico giorno e quelli che ne sono seguiti.

Nel libro “5 stagioni-La mia vita sulla Marmolada”, in uscita in questi giorni, parole ed emozioni si mescolano nel tentativo di elaborare il lutto provocato dalla valanga. Mettendo a nudo il suo profondo dolore ma anche, al contempo, cercando di fare spazio alla forza necessaria per ricominciare. Proprio l’altro giorno, il custode della Capanna l’ha riaperta per avviare la stagione. La sua sesta lassù, a 3.343 metri di altitudine.


IL PERCORSO 
Dal 2018, da giugno a settembre, Budel accoglie chi, come lui, cerca un riparo fisico e spirituale nella montagna. «Qui, tra terra e cielo, tra la ferocia delle tempeste e la bellezza della natura incontaminata, tra il silenzio della neve che cade e l’assordante rumore del vento, da solo e in compagnia - afferma - ho vissuto il bello e il brutto della montagna». Nel volume “5 stagioni”, (Sperling & Kupfer), racconta a cuore aperto ciò che la montagna gli ha mostrato e insegnato: dalla magia dell’amicizia in alta quota ai disastri della siccità, da storie di solidarietà a racconti di solitudine, fino al resoconto del terribile 3 luglio 2022. Il giorno della tragedia del distacco del seracco della Marmolada, in cui morirono undici persone, Budel era in Capanna. Da Punta Penìa ha sentito il boato assordante, ha visto le operazioni di ricerca, ha assistito al viavai, nel panico, degli escursionisti che erano con lui. Ha lasciato il rifugio solo dopo alcuni giorni, incapace di abbandonare la sua casa anche se pieno di disperazione. 


IL DRAMMA
Nato a Feltre il 9 agosto 1973, quindi prossimo ai 50 anni, Budel è cresciuto tra il Trentino e il Bellunese mentre attualmente vive a San Gregorio nelle Alpi, nella casa che fu dei nonni materni. Dopo aver fatto il militare, ha lavorato in fabbrica per quasi vent’anni, finché un giorno ha deciso di mollare tutto, di cambiare vita. Si è voltato verso la montagna e si è lanciato a capofitto in una nuova avventura, fino a diventare il gestore del rifugio Capanna Punta Penìa. «Le cinque stagioni che ho trascorso in Marmolada - spiega - mi hanno cambiato la vita. Mi hanno fatto tornare a vivere, a essere felice, mi hanno aiutato a risollevarmi dal baratro in cui ero caduto. In vetta ho imparato a stare bene, da solo. Non è facile affrontare intere giornate in completa solitudine, una in fila all’altra. Se riesci a farlo, però, ti alleni a vincere i tuoi demoni interiori e diventi una persona migliore. Amo e amerò sempre quella montagna, la mia Regina».


Ma la valanga del 2 luglio, inevitabilmente, ha segnato un passaggio indelebile tra il prima e il dopo. «Nei giorni antecedenti - dice - avevo notato come il ghiacciaio fosse in affanno, scoperto come lo avevo visto altre volte solo a fine agosto. Nessuno, però, poteva prevedere ciò che sarebbe accaduto di lì a poco: una giornata di festa, in un luogo paradisiaco, nel giro di qualche istante si è tramutata in un incubo». 

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L’OMAGGIO
Undici persone sono morte travolte da neve, ghiaccio e terra. «Voglio portare le loro foto in vetta ed esporle - sottolinea - in modo che tutti coloro che amano la montagna, proprio come le vittime, possano rivolgergli un pensiero affettuoso. La spontaneità dei legami che si creano ad alta quota non si trova in nessun altro luogo al mondo: in montagna cadono le barriere tra le persone, ci si conosce prima, si saltano tanti passaggi formali che spesso sono solo perdite di tempo. Noi, invece, con il nostro stile di vita, siamo gli unici viventi capaci di rovinare il luogo che li accoglie. In questo modo non andremo molto lontano». E prosegue: «La pace della Marmolada si è spezzata. Ho pensato alle battaglie d’alta quota che si erano combattute in quegli stessi luoghi più di cento anni prima, durante la Grande Guerra. Erano uomini contro uomini, a quel tempo. Ora siamo noi, alle prese con la natura che si ribella. Ma chi crede in questo necessario cambio di rotta, basato sulla maggior tutela dell’ambiente, deve andare avanti e a impegnarsi. Nel mio piccolo, io continuerò a farlo. Portando nel cuore Filippo, Paolo, Tommaso, Liliana, Davide, Erica, Gianmarco, Emanuela, Nicolò, Martin e Pavel».

Ultimo aggiornamento: 17:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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