Prima fascista, poi antifascista, infine comunista. Ateo convinto, sul letto di morte pregò Cristo, Buddha e Maometto sperando che uno dei tre lo salvasse.
Mosso solo dal tornaconto personale, Curzio Malaparte (Prato 1898 - Roma 1957) tradì sempre tutti, tranne Febo, il suo cane filosofo, l'unico che amò veramente, oltre a se stesso.
Osvaldo Guerrieri, critico teatrale, ce lo descrive in "Curzio" (Neri Pozza, 17) come un istrionico voltagabbana, incapace di veri ideali, ma anche eclettico e originale (la più bella penna del fascismo secondo Gobetti), direttore a soli trent'anni de La Stampa, e autore di libri famosi (La pelle) più all'estero che in Italia, come Tecnica del colpo di Stato che Hitler condannò al rogo e Mussolini quasi non notò.
Dimenticato per decenni, si assiste da qualche anno a un processo di rivalutazione del personaggio e della sua opera ristampata da Adelphi.
Costruita su aneddoti, personaggi e colpi di scena, la biografia romanzata di Guerrieri traccia il profilo di un eccentrico antieroe che incarnò le esaltazioni e contraddizioni della sua epoca, affetto da manie di protagonismo (ai matrimoni vorrebbe essere la sposa, ai funerali il morto ironizzò Longanesi) e ossessionato dal fisico (s'incipriava, metteva bistecche sulle guance, si depilava e impomatava dappertutto).
La storia comincia nel 1933 a Lipari dove il fascista ribelle Malaparte viene confinato per attività antifasciste, e si conclude nel 1957 in una clinica della capitale dove viene ricoverato per un cancro ai polmoni che gli sarà fatale.
Oltre trecento pagine di avventure: scandali, processi e duelli, dalla Legione Garibaldina alla marcia su Roma, i viaggi a Parigi, in Russia, Africa e Cina e i soggiorni nella stravagante villa di Capri da lui stesso progettata, i curiosi incontri con i suoi protettori (Galeazzo e Togliatti) e gli scontri con i nemici (Balbo e Gramsci), e poi tante donne che Curzio - emulo delle prodezze dannunziane ma sessualmente inappetente conquistava e sempre abbandonava, nei modi più meschini (meglio un brutto fuggire che un bel morire), a parte Virginia vedova Agnelli (la mamma dell'Avvocato) che avrebbe voluto sposare ma più per la Fiat che per amore.
© riproduzione riservata
Mosso solo dal tornaconto personale, Curzio Malaparte (Prato 1898 - Roma 1957) tradì sempre tutti, tranne Febo, il suo cane filosofo, l'unico che amò veramente, oltre a se stesso.
Osvaldo Guerrieri, critico teatrale, ce lo descrive in "Curzio" (Neri Pozza, 17) come un istrionico voltagabbana, incapace di veri ideali, ma anche eclettico e originale (la più bella penna del fascismo secondo Gobetti), direttore a soli trent'anni de La Stampa, e autore di libri famosi (La pelle) più all'estero che in Italia, come Tecnica del colpo di Stato che Hitler condannò al rogo e Mussolini quasi non notò.
Dimenticato per decenni, si assiste da qualche anno a un processo di rivalutazione del personaggio e della sua opera ristampata da Adelphi.
Costruita su aneddoti, personaggi e colpi di scena, la biografia romanzata di Guerrieri traccia il profilo di un eccentrico antieroe che incarnò le esaltazioni e contraddizioni della sua epoca, affetto da manie di protagonismo (ai matrimoni vorrebbe essere la sposa, ai funerali il morto ironizzò Longanesi) e ossessionato dal fisico (s'incipriava, metteva bistecche sulle guance, si depilava e impomatava dappertutto).
La storia comincia nel 1933 a Lipari dove il fascista ribelle Malaparte viene confinato per attività antifasciste, e si conclude nel 1957 in una clinica della capitale dove viene ricoverato per un cancro ai polmoni che gli sarà fatale.
Oltre trecento pagine di avventure: scandali, processi e duelli, dalla Legione Garibaldina alla marcia su Roma, i viaggi a Parigi, in Russia, Africa e Cina e i soggiorni nella stravagante villa di Capri da lui stesso progettata, i curiosi incontri con i suoi protettori (Galeazzo e Togliatti) e gli scontri con i nemici (Balbo e Gramsci), e poi tante donne che Curzio - emulo delle prodezze dannunziane ma sessualmente inappetente conquistava e sempre abbandonava, nei modi più meschini (meglio un brutto fuggire che un bel morire), a parte Virginia vedova Agnelli (la mamma dell'Avvocato) che avrebbe voluto sposare ma più per la Fiat che per amore.
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