VENEZIA - Fu una persona libera e complessa, che affermò la sua personalità e le sue passioni attraverso la scrittura, la musica e l'arte, assieme a diverse esperienze amorose che segnarono profondamente la sua vita e la sua produzione poetica. Perché Gaspara Stampa - sulla quale è da decenni in atto una diatriba un po' sterile sul fatto che possa o meno essere stata anche una cortigiana - fu soprattutto una grandissima poetessa che sublimò nei versi tutto il sentimento che provò per la vita, per il mondo, e per il suo Collaltino.
La storia di Gaspara Stampa
Nacque a Padova nel 1523 da Cecilia e Bartolomeo Stampa - orafo e commerciante di gioielli - e si trasferì a Venezia con la madre, il fratello Baldassare e la sorella Cassandra dopo la morte del padre, avvenuta nel 1531.
Francesco Sansovino le dedicò tre opere, ma sono numerose le dediche e gli scambi epistolari col mondo artistico e intellettuale veneziano dell'epoca.
Nel 1548, probabilmente nel salotto di Domenico Venier (o forse nel giardino muranese di Andrea Navagero), avvenne l'incontro di Stampa con il conte Collaltino di Collalto, signore della Marca trevigiana, aristocratico e uomo d'armi. La relazione fra i due durò circa tre anni, con alti e bassi causati dall'incostanza dell'uomo, che non ricambiò il sentimento intenso che Gaspara provò per lui. La relazione si concluse con l'abbandono della poetessa, che attraversò una crisi profonda (malgrado una nuova relazione con Bartolomeo Zen) ma che - paradossalmente - da questo dolore trasse il meglio dei suoi componimenti.
A Collaltino è dedicata infatti la maggior parte delle "Rime d'amore" che, concepite secondo un modello petrarchesco, costituiscono senza ombra di dubbio una delle più interessanti raccolte liriche del Cinquecento, originale e profondo: "Piangete, donne, e con voi pianga Amore - recita il centocinquantunesimo sonetto - poi che non piange lui, che m'ha ferita / sì, che l'alma farà tosto partita / da questo corpo tormentato fuore. / E, se mai da pietoso e gentil core / l'estrema voce altrui fu essaudita, / dapoi ch'io sarò morta e sepelita, / scrivete la cagion del mio dolore: / «Per amar molto ed esser poco amata / visse e morì infelice, ed or qui giace / la più fidel amante che sia stata. / Pregale, viator, riposo e pace, / ed impara da lei, sì mal trattata, / a non seguir un cor crudo e fugace".
Gaspara Stampa fu facile profetessa di se stessa: le Rime furono pubblicate dalla sorella Cassandra nel 1554 dopo la sua morte, avvenuta il 23 aprile di quell'anno per "febre et mal colico", anche se ben presto si diffuse la voce - infondata - che la donna si fosse avvelenata per le sue delusioni d'amore.
Ma in fondo fu questo sentimento supremo, vissuto in maniera così intensa, a farla riscoprire e renderla ancora attualissima: dopo quasi due secoli di oblio, e comunque di scarsa considerazione, la prima vera riscoperta di Gaspara Stampa si ebbe nel 1726 con Luisa Bergalli, e poi di Bergalli e Apostolo Zeno su finanziamento di Antonio Rambaldo di Collalto, discendente di Collaltino. Da quell'edizione nacquero poemi e versi che ne celebrarono la figura, e un romanzo epistolare composto nel 1851 da Luigi Carrer.
Gaspara Stampa morì per amore? Forse. Ciò che conta è che per amore affermò la sua libertà e la sua vitalità in un tempo nel quale una donna non sposata, che avesse semplicemente relazioni con più uomini, rientrava nella categoria delle "meretrici". E che, per amore, sia ricordata ancora oggi.