Venezia. Suor Elisabetta, passione per incisioni e stampe

Domenica 14 Gennaio 2024 di Alberto Toso Fei
Suor Elisabetta nel ritratto di Bergamelli

VENEZIA - Raffigurazioni sacre, immagini di santi, Madonne e cherubini destinate a messali, libri di preghiera, breviari: Elisabetta Piccini fu una delle rarissime donne che tra Sei e Settecento si dedicarono all'incisione.

Ancor più rara se si pensa che a 22 anni, dopo almeno sette o otto anni di attività, entrò nel convento della Santa Croce assumendo il nome di Suor Isabella, e con quello continuò a firmare non solo opere di carattere religioso ma anche ritratti, stampe divulgative di genere assolutamente profano, soggetti allegorici e illustrazioni per le antiporte dei libri.

LA STORIA

La sua mano era accurata - particolarmente apprezzata nell'ottenimento dei chiaroscuri a bulino - e per decenni fu la preferita da molti editori del tempo, Remondini di Bassano in testa (con i quali avrà una relazione d'affari di oltre quarant'anni e intratterrà un intenso epistolario).
Nata a Venezia nel 1644 si formò, col fratello Pietro, alla scuola del padre, l'apprezzato incisore Giacomo Piccini. A sedici anni rimase orfana: chiese e ottenne - dal doge - un privilegio per proseguire l'attività paterna. Dopo alcuni anni, nel 1666, si fece monaca francescana ed entrò in convento col nome in Suor Isabella. Riuscì a installare un laboratorio di incisione nel monastero e riuscì a garantirsi i 200 ducati da versare annualmente al convento per essere esentata da alcuni obblighi. Riuscì anche a pagare la dote di 300 ducati per la sorella Franceschina.

Quando questa si monacò nel 1673 (per sciogliere i voti undici anni dopo per sposarsi e lasciare a sua volta a Isabella, nel 1709, tutti i suoi beni). La sua fu una conversione sincera; certo, il riparo del convento le permise di condurre una vita più serena, e fu anzi apprezzata da molti letterati e richiesta da numerosissimi editori - non solo di Venezia, ma pure da Padova, Verona, Vicenza, Bassano e Brescia, ma anche Roma, Firenze, Lucca o Ferrara - per realizzare stampe e le antiporte dei volumi, che firmava "Suor Isabella" o "Suor Isabella Piccini" con qualche occasionale aggiunta come "Monaca francescana in Santa Croce di Venezia". Particolare fu appunto il rapporto con l'editore bassanese Giovanni Antonio Remondini, che grazie alla propria rete commerciale distribuì le sue stampe in tutta Europa. I lavori di Piccini erano molto richiesti dal pubblico, che amava quel tipo di rappresentazione religiosa dal sapore semplice e sincero.
Abituata fin da piccola a stare tra lastre di rame e bulini, inchiostri e libri illustrati, ed educata dal padre alla pratica del disegno e del bulino, che richiedeva una certa forza, Elisabetta/Isabella imparò a incidere in maniera profonda la lastra, cosa che consentiva ai tipografi di "tirare" un numero significativo di stampe; anche per questo motivo (e per i compensi davvero modesti), oltre che per le sue indubbie capacità artistiche, fu molto corteggiata dagli editori.
Ma il lavoro evidentemente le piaceva molto. Inoltre, fu suora ma anche imprenditrice, e non fu mai remissiva; a Remondini, dal quale nel 1733 avanzava un pagamento di 33 lire (che lei devolvette, come gli altri pagamenti, al monastero), scrisse una lettera che conteneva frasi di questo tenore: "Cosa mai è sta novità in la sua persona che lei è tanto tarda a pagar li poveri; una volta Vostra Signoria erra cusi pontualle e adeso cusì tarda. No la me tenga in sto dessturbo. O' lasiato pur altri lavori per servirla subito come lei ha comandato". Aveva allora 89 anni, ma ancora lavorava e sapeva farsi rispettare.
Soprattutto, sapeva quel che voleva e ancor più quel che non voleva; a 74 anni era stata nominata Vicaria del Convento, carica che mantenne per 6 anni, dal 1718 al 1724 per dovere di obbedienza ma senza amare troppo la responsabilità, come anche allora aveva scritto in una lettera a uno dei Remondini: "Sei anni che sono in catena co tanti pesi addosso. Presto sarò libera."
Si godette il lavoro e questa conquistata libertà per un altro decennio. Suor Isabella Piccini morì in povertà la sera del 29 aprile 1734, a 90 anni. In circa sessantotto anni trascorsi in convento, senza una allieva o un aiuto, aveva realizzato da sola tutte le sue incisioni.

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