Murano. Moretti, la dinastia che rilanciò l'arte della murrina

Lunedì 27 Febbraio 2023 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli

VENEZIAMurano, l'isola in cui nacquero e nella quale operarono - di Venezia e dell'Italia intera, tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento.

Una storia in realtà molto più lunga, visto che quella dei Moretti è una delle famiglie più antiche tra quelle dedite all'arte vetraria muranese, iscritta nel Libro d'Oro delle famiglie originarie dell'isola fin dai primi anni del Seicento, e i cui riverberi sono ben piantati nel presente.

La dinastia Moretti

Ma quella di Vincenzo, Luigi e Ulderico Moretti - rispettivamente nonno, padre e nipote - è una vicenda legata da un filo molto particolare: quello della lavorazione della murrina artistica, che la loro famiglia contribuì a riportare in auge e che ebbe connotazioni non solamente artistiche, ma sociali e perfino politiche, visti i tempi che si trovarono ad attraversare. A cominciare dal lavoro stesso della fornace, dal momento che nella seconda metà dell'Ottocento, con l'annessione di Venezia alla neonata nazione italiana e il rilancio dell'industria vetraria muranese per volere dell'abate Vincenzo Zanetti che passò anche attraverso il recupero di tecniche perdute nel tempo oppure antichissime, come quelle derivate dall'impero romano furono in parecchi a cimentarsi in virtuosismi nell'intento di riportare l'arte isolana ai fasti perduti dopo la caduta della Serenissima. In principio fu dunque Vincenzo Moretti, sicuramente uno degli artefici di questo rinnovamento, che nel 1871 riportò in vita la tecnica del "vetro mosaico", romano ed ellenistico.

Ricercatore appassionato, riuscì a mettere a punto un nuovo tipo di canna vitrea capace di presentare – in sezione – un disegno ideato in precedenza con l’accostamento di varie altre canne fuse assieme e tirate, oppure composto da tante piccole sezioni di canna giustapposte e fuse in fornace.
In poco tempo elaborò per la “Compagnia di Venezia e Murano” di Antonio Salviati un campionario ricco di complesse decorazioni geometriche e poi tulipani, violette, papiri, fiori di loto, a volte visitati da farfalle; ma effigiò anche l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e pure se stesso in un prezioso autoritratto, realizzato assieme ai figli. Medaglia d’oro alla seconda esposizione vetraria muranese del 1869, l’apoteosi dei vetri di Vincenzo Moretti si ebbe nel 1878, nel corso dell’esposizione universale di Parigi, dove i suoi vetri furono definiti “la gemma più bella dell’arte artigianale italiana”. Morì nel 1901 (era nato nel 1835) giusto in tempo per lasciare il testimone della nuova azienda, la “ Moretti Luigi & F.lli”, proprio ai suoi discendenti ma in particolare al primogenito Luigi, che aveva già da tempo affinato la tecnica riscoperta dal padre riuscendo a dare vita a una serie di incredibili ritratti: Vittorio Emanuele II e Umberto I, l’erede al trono Vittorio Emanuele III, Giuseppe Garibaldi, Cristoforo Colombo e papa Leone XIII, oltre a un’immagine della Madonna. Luigi (che era nato nel 1867 e morì nel 1946), trasferì a sua volta la passione per le murrine al figlio Ulderico, nato nel 1892. Aveva dunque trentuno anni, Ulderico, quando tra il 1923 e il 1924 il Comune di Murano perdette la sua indipendenza plurisecolare attraverso l’annessione per decreto reale a quello di Venezia, e decidette di esprimere a modo suo il dissenso verso quello che dall’intera comunità isolana fu vissuto come un sopruso attraverso la creazione di una serie di murrine aventi come soggetto il gallo, emblema e antico simbolo araldico di Murano.
All’epoca gli uomini “dissidenti” le portarono all’occhiello della giacca sotto forma di spilla, mentre le signore ne fecero orecchini e pendenti. La lotta dei muranesi - fatta anche di questi segni fantasiosi - non ebbe l’esito desiderato, ma lascia ancora oggi una eredità di galletti di vetro creati cento anni fa.
Ulderico, che diede un indirizzo più industriale alla sua fornace, trasformandola nella “Ulderico Moretti & C.”, presentò anche dei vetri murrini alle Biennali del 1932 e del 1934. Piccoli gioielli di arte e di abilità artigianale che hanno finito per diventare una summa di storia e di storie, e che raccontano con eleganza la storia di un’arte, di una famiglia, e di un’isola intera.

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