Dino Battaglia, quando il fumetto attraversa la letteratura. Per Hugo Pratt era «il maestro dei maestri»

Lunedì 27 Marzo 2023 di Alberto Toso Fei
Dino Battaglia ritratto da Matteo Bergamelli

Dino Battaglia (1923-1983) fumettista

Il suo stile grafico un po' gotico e quei chiaroscuri così simili alle notti veneziane sono un suo marchio di fabbrica. D'altronde nella Venezia un po' in bianco e nero degli anni Trenta e Quaranta lui ci era cresciuto e ci si era formato. E sebbene il suo nome non sia immediatamente associato a quello dei grandi fumettisti italiani, Dino Battaglia può dirsi a pieno titolo uno dei precursori del fumetto moderno: Lorenzo Mattotti lo definiva "L'Accademia", Hugo Pratt "il maestro dei maestri"; il carattere schivo e la scomparsa precoce, a soli sessant'anni, lo hanno relegato a un Olimpo nel quale svetta oggi quasi solo per gli intenditori.

Eppure Dino Battaglia il fumetto ce l'aveva nel sangue: nato a Venezia il primo agosto 1923 finì per frequentare il liceo artistico e per avvicinarsi al mondo del disegno da autodidatta, contro il volere della sua famiglia che avrebbe visto più indicata per lui una carriera da insegnante. Subito dopo l'esordio come illustratore per libri per l'infanzia, entrò nel 1946 - con Hugo Pratt, Alberto Ongaro e Mario Faustinelli - nel gruppo di autori della rivista "Asso di Picche", dove alterna il suo lavoro a quello degli altri sulle tavole di "Junglemen". Quando due anni più tardi la redazione si spostò in blocco in Argentina, Battaglia rimase in Italia lavorando a distanza per lo stesso editore degli amici, l'Editorial Abril. Nel 1950 si sposò con Laura De Vescovi, che divenne successivamente sceneggiatrice e colorista di alcune sue storie.

E lo stesso anno la coppia si trasferì a Milano dove per Mondadori lavorò a molti numeri della serie "Pecos Bill". Furono anni di grande attività e di ascesa stilistica e professionale, senza però che Battaglia "sposasse" un personaggio ricorrente, altra eventualità per la quale oggi il suo nome non è legato a un personaggio preciso dei fumetti: in quello stesso periodo collaborò con "Intrepido", il "Daily Mirror", "Il Vittorioso" e "L'Audace", per il quale illustrò "L'isola del tesoro" e "Peter Pan".
Furono proprio le trasposizioni a fumetti di opere letterarie, realizzate con il suo raffinato stile grafico, a dargli la maggiore notorietà, infondendogli però anche un'aura di illustratore, più che di creativo. Niente di più sbagliato: alcune sue scelte stilistiche e grafiche, come il superamento della griglia rigida delle vignette, un montaggio più "cinematografico" e l'uso sapiente di alcuni grigi "caliginosi" in luogo di neri più decisi, furono - e sono ancora - molto imitate dai fumettisti delle generazioni successive. A partire dagli anni Sessanta iniziò una lunga collaborazione col "Corriere dei Piccoli", iniziando (nel 1961) con le storie di Topo Gigio sceneggiate da un'altra veneziana, Maria Perego, e dedicandosi alla trasposizione a fumetti di fiabe e romanzi.

Una prima svolta arrivò nel 1967 con la riduzione di "Moby Dick" per la rivista "Sgt. Kirk", alla quale seguirono altri grandi lavori incentrati su Poe, Lovecraft, Stevenson e Hoffman, pubblicate soprattutto su "Linus" e raccolte successivamente in volumi come "Totentanz". Si tratta di riscritture riuscitissime nelle quali Dino Battaglia, autore oramai maturo, mostra tutto il suo eclettismo in tavole che hanno fatto scuola nell'ambiente del fumetto italiano e internazionale. Gli anni Settanta scivolarono via con collaborazioni col "Messaggero dei Ragazzi" e "Il Giornalino", per i quali creò alcune opere di carattere religioso attorno alle figure di Sant'Antonio da Padova e San Francesco, alternate a lavori di natura grottesca e umoristica (a lui più affine), come "Gargantua e Pantagruel" per la rivista "Corto Maltese". Alla fine di quel decennio iniziò una collaborazione con la casa editrice Bonelli, per la quale realizzò alcuni volumi della serie "Un uomo, un'avventura". Solo all'inizio degli anni Ottanta Dino Battaglia si decise a dare vita a un personaggio e a una serie di sua ideazione: l'ispettore Coke, che sulla rivista "Alter alter" fu protagonista di tre storie, "I delitti della fenice", "La Mummia" e "Il mostro del Tamigi", rimasta incompiuta per la morte dell'autore, avvenuta a Milano il 4 ottobre 1983. Troppo poco per rimanere impressa in profondità nella memoria degli amanti del fumetto.

 

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