Gli amori veneziani di Gabriele D'Annunzio

Lunedì 6 Febbraio 2023 di Alberto Toso Fei
Gli amori veneziani di Gabriele D'Annunzio

VENEZIA - Veneziano in senso stretto non lo fu forse mai: perché al di là della nascita, avvenuta altrove, Gabriele D' Annunzio incarnò forse più il concetto post risorgimentale di italiano a tutto tondo, nella sua visione epica della vita e della nazione. Ma Venezia fu importante per le opere che vi ambientò o che vi produsse, per gli amori che vi visse: su tutti quello con Eleonora Duse, che conobbe all'hotel Danieli, e quello con la pianista veneziana Luisa Baccara, che fu sua compagna e regina incontrastata del Vittoriale, sulle rive del Garda.

Difficile ripercorrere tutte le tappe della sua vita e della sua carriera; più facile provare a ricostruire per sommi capi il suo rapporto con l'ex Serenissima.

A Venezia D' Annunzio tenne tre soli discorsi pubblici, tra cui il suo primo in assoluto, avvenuto nel ridotto del Teatro "La Fenice" in occasione della chiusura della Biennale nel 1895. Era già abbastanza conosciuto, ma la curiosità che gli si accese intorno fu tale da impedire alla sala, pur capiente, di accogliere completamente il pubblico accorso per ascoltarlo. In quello stesso periodo conobbe Eleonora Duse, che aveva fatto di Venezia il suo rifugio, e iniziò a concepire le linee de "Il Fuoco", ambientato completamente in città e nel quale la sua relazione con la grande attrice (divenuta problematica) fu messa parzialmente a nudo.

Ma a Venezia D' Annunzio, che tra il 1896 e il 1899 elesse a sua dimora la "Casina Rossa", sulla sponda del Canal Grande, scrisse altre opere ("La Nave", il “Notturno”, la “Licenza della Leda senza Cigno”) e visse altri amori, il cui numero è frutto forse più della vita sessuale disordinata e dissoluta (al punto da scadere leggendariamente nella patologia) che non di verità storica: si narra che spesso, di notte, una nobildonna veneziana che abitava sull’altra riva del Canal Grande lo attraversasse a nuoto per poterlo raggiungere.
Gabriele D' Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, terzo dei cinque figli di Luisa de Benedictis e Francesco Paolo Rapagnetta (che aveva acquisito il cognome D' Annunzio da un ricco parente che lo aveva adottato e che presto dissipò il patrimonio). In città il Vate trascorse comunque un'infanzia felice, e non tardò a manifestare il suo carattere ambizioso e privo di complessi: sedicenne, scrisse una lettera a Giosuè Carducci, il poeta più stimato del tempo. Era il 1879: l'anno precedente era avvenuto il suo primo incontro con Venezia; solo che era stato... immaginario.

D'Annunzio l'aveva infatti descritta in un compito in classe: una città misteriosa in cui il Consiglio dei Dieci e gli Inquisitori di Stato tengono in mano una società oppressa, nella quale si agisce sulla base di denunce depositate “dentro le fauci spalancate di un leone di bronzo posto alla scalinata della scala del Consiglio”; in cui gondole parate di nero si dirigono verso il Canal Orfano “per buttarvi i sacchi con i giustiziati: un tonfo e poi più nulla”.
Tutta l’esistenza di D’ Annunzio rasentò l’eccesso. Un episodio tra i tanti è ancora legato in qualche modo a Venezia: la notte del 13 agosto 1922, nella sua villa sul lago di Garda avvenne un incidente conosciuto come “il volo dell’arcangelo”: D’ Annunzio cadde da una finestra, e su questo fatto fece calare una ferrea cortina di silenzio. Ma quasi certamente l'esecutrice “dell’incidente” fu Luisa Baccara, amante veneziana che lo scrittore aveva conosciuta giovanissima in città, che aveva forse inteso difendere la sorella dalle improvvide avances del poeta. Di fatto, la finestra incriminata fu murata.

Anche la sua morte è ancora oggi misteriosa: il certificato del medico parla di “emorragia cerebrale”. Ma qualcuno ha avanzato l’ipotesi che il poeta, affascinato dall’idea del suicidio (da lui considerato atto degno di un uomo coraggioso) possa essersi volontariamente avvelenato: fu trovato con la testa appoggiata su un lunario “Barbanera” che annunciava, per il 1 marzo 1938, la morte di una personalità; una previsione sottolineata in rosso. Tutto ciò sarebbe stato occultato da Mussolini, che intese trasformare la cerimonia religiosa del funerale (che altrimenti non sarebbe stata concessa a un suicida) in una grande occasione di celebrazione per il regime. Anche la morte di d’ Annunzio resta dunque avvolta dalla leggenda.
 

Ultimo aggiornamento: 7 Febbraio, 10:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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