Leonardo Donà, il doge Antipapa che sfidò la chiesa e sconfisse Paolo V

Lunedì 30 Gennaio 2023 di Alberto Toso Fei
Leonardo Donà ritratto da Matteo Bergamelli

Fu un religioso fervente, al punto che non si sposò mai in osservanza a un voto di castità fatto in gioventù; da ambasciatore, convinse con parole dure e poco diplomatiche il re di Spagna Filippo II a dare vita con Venezia e il papato alla Lega Santa che combatté e vinse sulle acque di Lepanto la celebre battaglia navale nel 1571, e da doge fu un antipapa che sfidò la chiesa cattolica e sconfisse Paolo V sul terreno della scomunica lanciata alla città. Leonardo Donà fu un uomo di Stato accorto e ligio al dovere.
Ma duro al punto da essere perfino poco amato dai veneziani. Eppure fu uomo aperto alle novità, e pronto a servire la Repubblica nei modi più diversi: si deve infatti a lui l'avvio della produzione del cannocchiale di Galileo Galilei, che gli presentò personalmente il prototipo nel 1609.
Figlio di Giambattista Donà e di Paola Corner, nacque a Venezia il 12 febbraio 1536 nella casa di famiglia a S.

Marcuola, terzo e ultimogenito di una famiglia del patriziato agiata ma non ricchissima che tradizionalmente - assieme all'attività mercantile - serviva attivamente la Repubblica rivestendo ruoli diversi nei consigli e nelle varie magistrature. A soli quattordici anni iniziò a collaborare col padre, nominato savio alla Mercanzia, sbrigandogli la corrispondenza d'ufficio. A vent'anni acquisì il diritto di entrare in Maggior Consiglio in virtù dell'estrazione della balla d'oro, ma preferì - ancora - seguire il padre nominato luogotenente a Cipro - tra l'estate 1556 e quella del 1558 - per maturare una preziosa esperienza di governo.


LA CARRIERA
La carriera politica vera e propria iniziò nel 1561 e otto anni più tardi - il 29 luglio 1569 - fu nominato ambasciatore della Serenissima presso il principe più potente d'Europa, Filippo II, re di Spagna. Aveva solo trentatré anni. Meno di due anni dopo, nel marzo del 1571, affrontando il sovrano con una determinazione ai limiti dell'improntitudine (senza che da Venezia giungessero istruzioni), convinse il re a formare la flotta che nell'ottobre successivo combatté vittoriosamente a Lepanto, dove perdette la vita il suo fratello primogenito Andrea.
Un ruolo di campione della cristianità molto lontano dal bigottismo, né tantomeno sottomesso al Vaticano. A tale proposito si racconta una piccola leggenda; perché dopo essere stato ambasciatore a Costantinopoli, podestà, Savio, Governatore (e prima di divenire Procuratore di San Marco nel 1591), Leonardo Donà fu anche a lungo ambasciatore a Roma. Un giorno, il cardinale Camillo Borghese si lamentò con lui dell'arroganza dei veneziani verso il papato, finendo col dire che se fosse stato Papa avrebbe scomunicato i veneziani. E io, se fossi doge, mi riderei della scomunica, fu la risposta del Donà. Il Borghese divenne Paolo V, e il veneziano doge, il 10 gennaio 1606: entrambi tennero fede alla parola. Alcune leggi della Repubblica circa i beni ecclesiastici, e il fatto che due preti rei di delitti comuni furono processati dal Consiglio dei Dieci secondo le leggi dello Stato diedero al Papa il pretesto per lanciare, nell'aprile del 1606, l'interdetto.


GLI SVILUPPI
Il Senato non si sbigottì: vietò la pubblicazione delle bolle pontificie, ordinò che in tutto il dominio le chiese rimanessero aperte e bandì quegli ordini religiosi come i Gesuiti che si rifiutarono di obbedire. In pari tempo, il governo veneziano allontanò i sospetti di voler aderire al protestantesimo e si professò rispettoso verso la fede cattolica, affermando con il sostegno del servita Fra Paolo Sarpi che l'ossequio alla dottrina religiosa non poteva essere in contrasto con le leggi dello Stato.
L'interdetto fu levato un anno dopo, il 22 aprile 1607: Venezia continuò a legiferare in materia di beni ecclesiastici, a giudicare i preti colpevoli, e si mantenne sempre gelosa dei suoi diritti di fronte al pontefice (fedele al suo motto prima veneziani, poi cristiani), come quando ricusò di riconoscere vescovo di Padova e cardinale Federico Corner, perché figlio del doge in carica. Quando ricevette la notizia della revoca dell'interdetto papale, il commento di Leonardo Donà fu lapidario: Non lo considerammo, quindi non ci rallegriamo.

 

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