Pinarello, addio allo storico negozio: «Ha deciso il socio di maggioranza, mio padre non avrebbe mai chiuso»

Pinarello: «Ha deciso il socio di maggioranza, mio padre non l'avrebbe mai fatto»

Domenica 16 Gennaio 2022 di Paolo Calia
Fausto Pinarello brinda a una nuova era
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TREVISO - Ieri sera, 15 gennaio, alle 19,30 ha spento le luci per l’ultima volta. Il negozio Pinarello in piazza del Grano, dopo 70 anni giusti di storia, ha chiuso i battenti. Il “paron” Nani era arrivato in piazza del Grano da Villorba nel 1952. Un vita fa. I trevigiani perdono un punto di riferimento, un pezzo della loro storia. Per i Pinarello è una sofferenza, anche se mascherata. La scelta di chiudere è stata presa dal fondo di private equity “L Catterton”, partecipato dalla holding francese del lusso Lvmh che raggruppa marchi come Louis Vuitton, Kenzo, Fendi, Moët & Chandon e tanti altri simboli ammirati in tutto il mondo. Tra le punte di diamante del lotto c’è anche Pinarello, di cui il fondo è socio di maggioranza. E “L Catterton” ha deciso che è arrivato il momento di chiudere lo storico punto vendita (compreso lo spazio in via Case di Riposo), per cui paga un affitto, e portare tutto a Villorba, nell’avveniristica sede di proprietà dove nascono e si vendono le biciclette dei sogni. Fausto, da socio di minoranza, si è dovuto adeguare. Anche se ribatte: «Chiudere è stata una scelta aziendale, quindi condivisa, fatta per ovvi motivi commerciali. Assieme al socio di maggioranza è stato deciso così. Del resto abbiamo la “Botega” di là, a Villorba, che lavora molto bene e speriamo anche di ingrandirla». Però non molla e ha già in mente come tornare nella piazza dove la sua famiglia è nata: aprendo un museo della bicicletta negli stessi spazi che ieri ha chiuso.

DELUSIONE E SPERANZA
C’è poi il lato della famiglia Pinarello che ormai è fuori dalle dinamiche societarie. Carla Pinarello, per esempio, è uscita quando il pacchetto di maggioranza è stato ceduto al fondo francese. Osserva da lontano, sta attenta a non intromettersi, ma si capisce che non condivide: «Non faccio più parte della società, sono altri che decidono e non posso di certo mettere bocca - premette - ma in quel negozio ci sono nata, ci ho lavorato per prima. Tornavo a casa con l’odore dei copertoni addosso. Mio papà forse non l’avrebbe mai chiuso, era la sua “botega”. È una scelta che anche io non avrei fatto, ma da anni sono fuori e parlo a titolo personale.

Ricordo solo che in piazza del Grano è nata la nostra storia, la nostra leggenda. Forse mi renderò conto che un capitolo è finito lunedì, quando vedrò tutto chiuso».

IL FUTURO
Ma che non sia ancora finita lo dice chiaramente Fausto. Che ha una voglia matta di tornarci, in piazza. E da protagonista. «Oggi (ieri ndr) abbiamo chiuso. Ma mi piacerebbe tornare qui, mi piacerebbe molto. E non è detto che non ci torneremo in questa piazza stupenda. Chiudere questo negozio è un peccato per Treviso o almeno, da trevigiano, credo che sia così. Ma di fronte alle scelte aziendali non è che ci si possa fare qualcosa. È così e basta». Un’idea in mente però ce l’ha per tornare a occupare il negozio storico e, magari, anche quello accanto vuoto ormai da anni: «Potremmo sicuramente tornare qui, utilizzare di nuovo questi spazi per fare un ritrovo per i ragazzi oppure, mi piacerebbe moltissimo, un museo delle biciclette. Le ho tutte io quelle che hanno vinto. Perché non esporle? Ho anche la storica Graziella di papà. La volontà è quella di riempire ancora sia i locali dove siamo sempre stati sia quelli accanto. Di spazio libero ce n’è: il negozio dove siamo stati per tutto questo tempo è in affitto, quello accanto è vuoto. Magari ci ragioniamo: questa piazza è sempre stata una vetrina stupenda sia per i cicli Pinarello, sia per Treviso». Sull’idea del museo chiosa Carla: «Il museo della bicicletta è una promessa che mi è stata fatta cinque anni fa. Resto in attesa».

IL BRINDISI
Fausto, in tenuta da ciclista e circondato dai suoi compagni di squadra, verso le 13 si è presentato in piazza del Grano. Ha fatto allestire un tavolino con del Prosecco davanti all’ingresso del negozio, chiamato amici e dipendenti. E ha stappato una bottiglia tra gli applausi e i brindisi. Tutti sorridenti. Qualcuno stupito di tanta allegria per una chiusura: «Non festeggio la chiusura - ha sorriso - ma cerco di stemperare e cogliere il lato buono. Non c’è nulla di definitivo. Ci dispiace chiudere perché siamo nati qui. Mio papà è arrivato nel 1952 aprendo dove ora c’è il Lavoratore, poi si è trasferito di fronte. Sono 70 anni di vita. E si fa fatica a cancellarli. Parliamo di anni di storia, di sofferenze, di sacrifici e anche di soddisfazioni. Ma siamo pronti a fare ancora molto di più».
 

Ultimo aggiornamento: 16:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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