Paolo Menuzzo, il patron della Came: «Teniamo il mondo sotto sorveglianza»

Lunedì 10 Gennaio 2022 di Edoardo Pittalis
Paolo Menuzzo

TREVISO - La Dyane rossa targata Treviso era, 50 anni fa, l'auto aziendale e l'azienda stessa, fungeva da ufficio e da trasporto per le casse di metallo. L'utilitaria serviva a tutto piegandosi in curva sotto il peso, le sospensioni la facevano ondeggiare come una barca. Era anche l'immagine pubblicitaria della ditta con quella scritta nera sulle portiere: Came e più in piccolo Automazione per portoni Cancelli basculanti. Mogliano. Paolo Menuzzo, 74 anni, di Preganziol, ci andava in giro per mezza Italia a vendere l'invenzione di famiglia: il cancello ad apertura automatica. Una rivoluzione perché allora i meccanismi erano a vista, enormi, pistoni a olio dentro scatoloni di ghisa. Paolo e il fratello Angelo ne avevano brevettato uno automatico a tenuta stagna e interrato.
Oggi la Came (Costruzioni Automatismi Meccanici Elettronici) nata nel 1972 si è specializzata in misure antiterrorismo, nella sicurezza dei controlli e degli accessi; senza dimenticare i cancelli. Ha tre stabilimenti a Nordest: il principale a Casier nel Trevigiano, due nel Pordenonese, a Sesto al Reghena e a Sequals che è famoso come il paese di Primo Carnera. Gli altri stabilimenti sono sparsi tra Francia, Spagna, Inghilterra, Turchia e Brasile. Ha 1600 dipendenti, 400 solo a Casier. Il fatturato è di 260 milioni di euro. La Came ha garantito la sicurezza sulla Torre Eiffel, al Pentagono dopo gli attentati alle Torri Gemelle, all'Expo di Milano. Ha coperto gli stadi per l'Europeo di calcio in Russia e organizzato con tornelli, gabbie e casse automatiche la nuova Metropolitana di Mosca. Ha curato la sicurezza della Basilica di San Marco e del Campanile. E quella del Casino di Montecarlo. Gestisce parcheggi anche da cinquemila posti auto.
In mezzo secolo i Menuzzo hanno fatto molta strada e il successo li ha portati in ogni parte del mondo, anche se il cuore aziendale è rimasto veneto.

Si sono spostati in tanti anni in un fazzoletto di terra: da Preganziol a Mogliano a Casier. La holding di famiglia si chiama Came Group e Paolo Menuzzo è il presidente. Al vertice della Came spa il figlio Andrea, 46 anni.


Paolo Menuzzo, come è iniziata l'avventura della Came?
«Mamma Pierina è morta quando avevo 9 anni e mio fratello Angelo dieci. Qualche anno dopo papà Ferdinando si è risposato. Lui ha fatto sacrifici a non finire per noi, era carpentiere e in quel periodo c'era la moda del cemento faccia a vista anche con le sagome delle persone. Voleva che noi figli andassimo a scuola e ci ha iscritto all'industriale Pacinotti di Mestre. Eravamo privilegiati, tanti miei coetanei di Preganziol si sono fermati alla quinta elementare. Partivo la mattina alle 6 e mezzo con la filovia e, quando dal finestrino vedevo fabbrichette a destra e a sinistra, pensavo che mi sarebbe piaciuto da grande avere una fabbrica tutta mia. Dopo il diploma di perito elettrotecnico e il servizio militare nei bersaglieri, ho trovato lavoro in una piccola azienda di Mogliano per serramenti in alluminio. Io facevo i disegni e un giorno sono andato a prendere le misure per le controfinestre in una villetta sul Terraglio, pioveva a dirotto e il proprietario, arrivato a bordo di una Giulietta fiammante, per aprire il cancello si è bagnato tutto. Ho pensato: ma deve esserci un modo per non bagnarsi?».


La Came è davvero nata in quel giorno di pioggia del 1972?
«Proprio allora e ho coinvolto mio fratello che lavorava tra Africa e Giamaica, insieme abbiamo pensato a una soluzione elettromeccanica del problema, era una novità assoluta: dopo il primo, abbiamo registrato molti brevetti e siamo diventati venditori diretti. Negli anni '80 c'era il boom, sessanta aziende facevano gli stessi articoli, spesso copiandoci. Non è stato tutto facile, all'inizio abbiamo avuto problemi con un'inflazione tremenda, pochi soldi e le banche non aiutavano. Ci ha dato fiducia la Cassa Artigiani. Bisognava anche formarsi da soli il personale per un settore. Ho sempre investito i profitti, mia moglie Giuseppina che era ragioniera provava a fermarmi. Devo ringraziare il personale, non mi piace la parola dipendenti, li ho sempre chiamati collaboratori».


Come e quando vi siete trasformati?
«Bisognava evolversi, così ci siamo dedicati al controllo degli accessi, dai parcheggi ai tornelli. Ci siamo aperti a nuovi mercati, dall'Inghilterra ai Paesi Arabi. In Arabia Saudita eravamo in contatto con un personaggio che importava verdura ma anche gomme per auto e altri prodotti: prima ci ha mandato un indiano e un etiope che parlava italiano per studiare i nostri progetti, poi ci ha presentato un israeliano interessato al settore. Per essere pronti abbiamo acquisito aziende già conosciute: la prima ad Avignone, faceva i bollard, che sono pali speciali per controllare il traffico; poi un'azienda a Barcellona specializzata nei parcheggi e una di Sequals che faceva porte sezionali. Infine, quella di Sesto al Reghena che faceva videocitofoni e termoregolazione. Tutto questo ci ha consentito di garantire il servizio di sicurezza per l'Expo 2015 di Milano. In Inghilterra abbiamo acquisito imprese specializzate in software per parcheggi, in Turchia un'azienda specializzata soprattutto roadblocker, piattaforme antiterrorismo che se avanza un carro armato si alzano e lo bloccano».


Come avete organizzato l'azienda davanti alle novità?
«Mio fratello è uscito nel 1990, ha continuato a fare invenzioni in altri settori. A lui piaceva girare il mondo, ha fatto il viaggio di nozze in moto sulle Montagne Rocciose dal Canada agli Usa. Sono rimasto vedovo e ho due figli, Andrea e Elisa. Con Andrea c'è stato il cambio generazionale senza problemi: gli piaceva la fabbrica già quando andava a scuola, ha incominciato dal basso, si è fatto le ossa nelle filiali tedesca e inglese. Elsa è laureata in Psicologia del Lavoro, dopo aver organizzato l'ufficio personale e il marketing, si è dedicata alla sua passione vera: il laboratorio per il tiramisu. Ha trovato il sistema per la conservazione della crema e ha un mercato straordinario nel Nord Europa».


Come è oggi il mercato internazionale?
«I cancelli rappresentano il 25% del fatturato, il grosso è legato alla sicurezza e a strumenti sempre più sofisticati. A Nizza, dopo gli attentati, abbiamo realizzato i dissuasori con controllo a distanza, con sensori che rispondono automaticamente anche alle dimensioni dei veicoli, alla velocità. Per la Metropolitana di Mosca abbiamo creato uno staff di tecnici, gestiamo anche il parcheggio di Barcellona con 5000 macchine. La gente ha paura di tutto Facciamo impianti per le abitazioni, tutti controllabili a distanza. Abbiamo potenziato il settore della domotica, specie nei paesi dell'Est dove è una specie di status symbol. Devi tenere conto delle varie realtà: a Dubai c'è molto caldo, in Russia anche -30 gradi. Il software deve reggere al troppo caldo e al troppo freddo. La Came è diventata un esempio studiato nelle università con tesi di laurea sulla nostra storia, collaboriamo con vari atenei».
L'uomo della Dyane rossa non ha dimenticato la sua passione per le auto storiche. Si è iscritto a tutte le gare, dalla Coppa delle Dolomiti al Trofeo Nuvolari, e in qualcuna si è anche piazzato. Nel grande garage posteggia i suoi gioielli lucidati e spolverati: una MG celestina del 1952; una Jaguar K120 del 1948, poteva raggiungere i 200 orari, era la più veloce del suo tempo; la Jaguar di Diabolik tornata di moda dopo il film. Ancora: una pesantissima Mark IV, la prima col marchio Jaguar, berlina, necessario l'autista. E la preferita: la Fiat 1100 Stella Alpina, rossa, del 1947; l'auto con la quale Torriani apriva immancabilmente il Giro d'Italia. Quell'anno vinse Fausto Coppi, staccato di quasi due minuti Gino Bartali. Era un'altra Italia, la stessa nella quale nasceva Paolo Menuzzo.

Ultimo aggiornamento: 17:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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