Tentò di uccidere la moglie: confermata dalla Corte d’appello di Venezia la condanna a 10 anni di carcere per Abdelsatar Selmi

Venerdì 22 Marzo 2024 di Giuliano Pavan
Tentò di uccidere la moglie: confermata dalla Corte d’appello di Venezia la condanna a 10 anni di carcere per Abdelsatar Selmi

ODERZO (TREVISO) - Tentò di uccidere la moglie colpendola con una mattarello. La corte d’appello di Venezia, nonostante il procuratore generale in accordo con la difesa avesse ipotizzato un ridimensionamento della pena a 7 anni di reclusione, ha invece confermato la condanna a 10 anni di carcere (inflitta in primo grado dal gup del tribunale di Treviso Carlo Colombo con rito abbreviato, che ha consentito lo sconto di un terzo della pena, ndr) e la provvisionale di 30 mila euro nei confronti della vittima, una 47enne, che si era costituita parte civile con l’avvocato Francesca Ginaldi. Ora per Abdelsatar Selmi, operaio tunisino di 59 anni difeso dall’avvocato Giuseppe Muzzupappa, non resta che il ricorso in Cassazione. Anche perché, già nelle motivazioni dell’appello, la difesa contestava la sentenza di primo grado. «La perizia medico legale ha stabilito che le ferite inferte non erano tali da provocare la morte - aveva sottolineato l’avvocato Muzzupappa - Non ci troviamo di fronte a un caso di tentato omicidio ma di lesioni gravi».

 

LA VICENDA

Era il 4 novembre 2022, poco dopo le 9.30, quando tra marito (ormai ex) e moglie era scoppiato l’ennesimo litigio all’interno di un appartamento di un complesso residenziale in via Sgarbariol a Oderzo, a lato della caserma Zanusso, ricavato dalla riconversione degli ex magazzini Salpa.

Una lite scaturita sia per motivi di gelosia che economici. L’operaio accusava infatti la moglie di sperperare tutti i soldi della famiglia al videopoker. Abdelsatar Selmi aveva cominciato a colpirla al capo e in altre parti del corpo con un mattarello in legno. Dopo il raptus, era stato lo stesso aggressore che, in modo confuso, aveva chiamato le forze dell’ordine dicendo di aver ucciso la moglie. Per fortuna non era stato così. I soccorritori che si erano presi cura della donna l’avevano trovata sanguinante ma cosciente. Chiazze di sangue erano state rinvenute sia nell’appartamento, che si trova al primo piano del complesso residenziale di via Sgarbariol, ma anche sullo zerbino e sull’uscio di casa.

LA DIFESA

L’uomo, dopo l’aggressione, era stato arrestato e rinchiuso nel carcere di Santa Bona, dove si trova tuttora. Durante l’interrogatorio di convalida dell’arresto, il 59enne si era difeso dicendo di aver perso la testa: «Non so cosa mi è preso: stavamo litigando e l’ho colpita con il manganello ma non avevo alcuna intenzione di ucciderla». Davanti al giudice aveva anche ricostruito i momenti immediatamente precedenti l’aggressione: «Stavo facendo il pane, avevo il mattarello in mano e in un attimo l’ho colpita». La donna aveva già presentato istanza di separazione dal marito, ma poi aveva deciso di riaccoglierlo in casa. Cinque mesi più tardi si era verificato l’episodio che ha portato prima al processo e poi alla doppia decisione dei giudici. «Se avesse voluto ucciderla avrebbe impugnato un coltello o comunque qualcosa che provocasse la morte, non un mattarello - aveva sottolineato l’avvocato Muzzupappa - Il suo è stato un gesto istintivo». Motivo per cui, già in sede di indagini preliminari (e poi anche nel corso dell’udienza preliminare, ndr), era stata chiesta la derubricazione del reato da tentato omicidio a lesioni personali gravi. Richiesta che non è stata accolta in nessuno dei due gradi di giudizio.

Ultimo aggiornamento: 23 Marzo, 09:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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