Menon: «Non siamo la stampella di Gaffeo»

Martedì 4 Maggio 2021 di Francesco Campi
Silvia Menon ed Edoardo Gaffeo

ROVIGO - La crisi di maggioranza che ha portato il sindaco Edoardo Gaffeo a presentare le dimissioni ha una sola via d'uscita, che passa dalla ricomposizione della frattura fra il primo cittadino e il Pd, come testimonia anche il fatto che il segretario nazionale del Pd Enrico Letta si sia subito attivato in prima persona, telefonando anche allo stesso Gaffeo. Perché non esistono maggioranze alternative.
A sgombrare ogni dubbio a quanti vagheggiano la possibilità di un soccorso civico, oltre alla matematica perché i conti non tornerebbero, ci pensano i quattro consiglieri della Lista Menon, Mattia Milan, Marco Bonvento, Damiano Sette e la stessa Silvia Menon.

Nella loro disamina su quanto accaduto sia prima che dopo il consiglio comunale che ha visto la bocciatura della mozione sottoscritta da Forum, Lista Gaffeo e parte del Pd, ribadiscono con chiarezza la propria posizione puntando il dito proprio nei confronti del sindaco. «Ora non ci si erga con ipocrisia a difensori della democrazia e del dialogo. Anzi, con queste dimissioni si è dimostrato di essere allergici al dissenso, che invece è il sale della democrazia. A noi questo metodo mai è piaciuto, né con Bergamin e né ora con Gaffeo, Spesso abbiamo fatto proposte, siamo stati costruttivi, ma l'atteggiamento è lo stesso. Persino la nostra interrogazione sullo stato della caserma Silvestri, volta a ottenere informazioni dal Demanio, che nessuno aveva chiesto, è stata firmata da tutti i gruppi, a parte le liste del sindaco. Quasi come ci fossero tifoserie opposte che impediscono di dare spazio all'opposizione, pure se le idee sono buone. Il ritornello votate come dico io o mi dimetto, va avanti da parecchio tempo. Per esempio, all'epoca della nostra mozione sul consumo di suolo zero aveva funzionato, purtroppo questa maggioranza votò per 84 ettari di campagna da trasformare in edificabile, e ora, secondo voi, tanto rumore per un piano in più dell'ex questura?».


MOZIONE DELLA DISCORDIA
Oltre alla propria posizione politica, la Lista Menon chiarisce anche quella tecnica, sul tema specifico che ha portato alla spaccatura della maggioranza, ovvero la nuova sede del Tribunale, ripercorrendo quanto accaduto nella notte del consiglio comunale, giovedì scorso. «All'opposizione siamo in 12 su 32 consiglieri più il sindaco, non possiamo decidere alcunché. Cinque consiglieri del Pd in disaccordo col testo della mozione hanno votato come noi, quindi la mozione è stata bocciata 17 a 14, perché c'erano due assenti. La mozione metteva degli ostacoli sulla soluzione più centrale ove sistemare parte del nuovo Tribunale: l'ex questura in vicolo Donatoni. In pratica impediva di spostare lì il Tribunale se fossero state necessarie variazioni alle norme urbanistiche attuali. Perché bloccarle a prescindere ora? Secondo i proponenti, perché un palazzo più alto dell'esistente, anche di un piano, sarebbe uno sfregio al centro storico, uno scempio. Secondo noi il motivo vero è un altro: al sindaco e a chi ha votato sì, andava bene solamente l'altra ipotesi sul tavolo del ministero della Giustizia, quella proposta e caldeggiata proprio dal sindaco stesso al ministero, cioè il tribunale alla ex Banca d'Italia di via Domenico Piva e nel palazzo della Provincia di viale della Pace. Due sedi che il ministero della Giustizia dovrebbe acquistare e riqualificare».


SÌ ALL'EX QUESTURA
I consiglieri ribadiscono di accogliere «favorevolmente qualsiasi ipotesi del Tribunale in centro e abbiamo votato contro perché non vediamo quale sarebbe lo sfregio nell'andare in deroga alle norme attuali sull'ex questura. Riteniamo del tutto fuori luogo parlare di scempio urbanistico, anzi non vediamo l'ora si rigeneri quel vicolo abbandonato, cui il Comune, per noi, dovrebbe aggiungere la zona limitrofa degli ex vigili del fuoco, per vedere finalmente vissuta una zona centralissima della città. Temiamo che tirare fuori canarine come faceva la mozione, a dieci giorni dal tavolo con il ministero, aumenti il rischio che il ministero si stufi e acquisti un terreno libero, senza vincoli, chissà dove, e costruisca un palazzo nuovo di zecca, ma fuori città. E quella sera abbiamo ripetuto: Non è il momento di dividersi su questa questione, ritirate la mozione. Il sindaco sapeva benissimo, come lo sapevamo noi, come lo sapeva tutto il consiglio comunale, che la mozione così com'era stata scritta non sarebbe stata approvata, tutti abbiamo chiesto durante la seduta di ritirare la mozione o di emendarla. Il sindaco è voluto comunque andare al voto. La mozione è stata bocciata e lui il giorno dopo si è dimesso».
 

Ultimo aggiornamento: 10:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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