La compagna dell'operaio schiacciato: «È inspiegabile, una manovra fatta decine di volte»

Martedì 12 Settembre 2023 di Michelangelo Cecchetto
Stefano Moletta e la compagna Raffaella Fagari

TOMBOLO - Ascolta i messaggi vocali nel cellulare e guarda le sue foto. Sul tavolo i documenti per presentare la domanda di pensionamento tra meno di tre anni. La simpatica cagnolina Cherì, razza Maltese, gira tra le stanze in cerca del suo padroncino e che, purtroppo, non sarà più coccolata da lui. «Stefano cosa ti è successo? Non doveva andare così, non riesco a capacitarmi. Era attento, aveva fatto decine e decine di volte quelle manovre ed ora è tutto finito». Un dolore profondo quello di Raffaella Fagari, da 18 anni compagna di Stefano Moletta di 56 anni. Si erano conosciuti casualmente nel 2005 dall’incontro di due compagnie di amici a Castelfranco Veneto. Entrambi sposati e separati, si erano trovati l’un l’altro e la passione continuava sempre più forte con il passare del tempo. 
Al suo fianco, a sostenerla il figlio di lei, Denis.

Stefano non aveva figli, era il primogenito, poi la sorella Mariella, sposata, ed il fratello Moreno che abita nella casa a fianco. Impegnati nel mesto compito di seguire tutte le pratiche del gravissimo infortunio. Una famiglia che meno di due mesi fa ha affrontato un lutto importante, il 17 luglio è mancata Lucia Gobbi, la mamma. Il papà Antonio è scomparso nel 2005. Famiglia molto conosciuta non solo ad Onara di Tombolo, gente per bene, laboriosa. Conosciutissimo Stefano tant’è che le telefonate continuano incessanti, i messaggi si accumulano, difficile se non impossibile, al momento, rispondere a tutti. 


L’IMPEGNO
«Lavorava come autista per un’azienda di Onara. Poi, per arrotondare, a chiamata con un’agenzia di lavoro interinale, faceva da tempo i trasporti per l’azienda dov’è avvenuto l’infortunio. Tutto in regola - racconta Raffaella -. Non c’erano giorni fissi, qualche volta capitava lo chiamassero anche la domenica. Mai il sabato che era il nostro giorno di riposo, anche se lui in casa faceva di tutto. Quando c’era il trasporto, sempre alla sera, andava a Padova, prendeva il camion della ditta, andava a caricare i polli, li portava nell’azienda, scaricava, lavava il camion e tornava a casa. A volte sono andata con lui per fargli compagnia. Venerdì sera mi sono alzata alle due e mezza. Non era a casa ed ho pensato che si fosse fermato con gli amici a fare uno spuntino. Era già capitato. Due ore dopo sono arrivati i carabinieri. Mi hanno detto che dovevo andare a Ponte San Nicolò che era successa una cosa grave. Non hanno aggiunto altro».
Raffella ripercorre quei momenti. «Il caso ha voluto non ci fosse nessuno mentre scaricava - continua -. Di solito c’erano altri autisti, l’altra notte no. Chissà cosa sarebbe potuto accadere. Non soffriva di nulla». 


IL DOLORE
Ad ora è impossibile dire se un soccorso celere avrebbe potuto cambiare il drammatico corso dell’evento. Lo stabilirà l’indagine. Il risultato purtroppo non cambia l’esito nefasto.
«Una persona gentile, non stava mai con le mani in mano, lavoro e casa - è il ritratto che fa la compagna -. Appassionatissimo di motori, macchine e moto, capace di aggiustare ogni cosa, pronto a dare una mano a chi glielo chiedeva. Si faceva voler bene da tutti. Aveva anche un kart anche se adesso era da tanto che non andava a correre nei circuiti perché impegnato. Non era mai stanco, abbiamo perso una persona insostituibile». Denis aggiunge: «vado d’accordo con mio padre, lui comunque era un secondo papà».


IL LEGALE
Enorme il cordoglio a Tombolo e non solo. Impossibile definire ora la data delle esequie, si deve attendere il nulla osta dell’Autorità giudiziaria. «La famiglia si costituirà parte civile - annuncia l’avvocato Andrea Bertollo ai quali si sono affidati sorella e fratello di Stefano Moletta giunto sul posto alle 7.20 -. Attendiamo gli esiti delle indagini. All’enorme dolore per una scomparsa così tragica si è aggiunto il fatto che mentre erano in corso i rilievi con il corpo liberato alle 11, l’azienda ha continuato l’attività come nulla fosse successo. A meno di trenta metri sullo stesso piazzale, i camion scaricavano gli animali tra l’evidente imbarazzo dei lavoratori. Capiamo la particolarità dei prodotti, ma di fronte alla vita di una persona riteniamo che si dovesse agire in altro modo».

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