Carlo Bortolini, nato tra i monti e laureato alla Bocconi: è lui l'inventore di giochi approdato a Berlino

Venerdì 27 Gennaio 2023 di Claudio Fontanive
Carlo Bortolini

AGORDO - Il sogno per molti giovani è diventare influencer, oppure calciatore, o ancora avere successo tramite i molteplici talent show televisivi. E invece c’è chi parte da Agordo, si laurea alla Bocconi di Milano, approda a Berlino e si inventa il mestiere di creatore di giochi in scatola. E il successo si quantifica in 140.000 copie vendute in tutto il mondo. È Carlo Bortolini, classe 1985, una famiglia che da tre generazioni si dedica con profitto al commercio di capi d’abbigliamento con i negozi Maja Dress, Blue Dress e Maja Dress Outlet.

Lui però ha scelto una diversa strada professionale ed in questi giorni è tornato nella casa di famiglia di Agordo. E racconta come tutto è nato. Perché dopo le scuole dell’obbligo ad Agordo, il diploma al liceo scientifico Galilei a Belluno, la laurea in discipline economiche e sociali alla Bocconi di Milano seguita dalla specialistica, a soli 26 anni il futuro da manager sembrava ormai spianato. Ma non è andata così.

Cosa le ha fatto cambiare idea?
«Inizialmente credevo di avere chiara la strada. In realtà mi sarebbe piaciuto fare il ricercatore o il professore. Avevo anche in animo di andare negli Stati Uniti e fare un percorso rivolto a materie quantitative e la matematica, che amavo molto. Poi però sono affiorati molti dubbi. Sono stato in Sud America a fare uno stage volontaristico, e questo mi ha fatto riflettere ulteriormente. Gli scenari che avevo davanti erano lavorare nella consulenza oppure entrare in grandi aziende e cercare di fare carriera. Ho optato per la prima soluzione. Mi sono trattenuto a Milano, prediligendo un approccio umano, e ho lavorato nel settore della consulenza per un azienda per un anno e mezzo circa».

E l’idea di ideare e creare giochi da tavola quando le è venuta?
«Già nel 2012 quando sono andato a vivere a Berlino. Gli stimoli creativi che ho avuto fin dall’inizio in quella città sono incredibili, puoi entrare in contatto con persone interessanti e aperte, di diverse culture e paesi. La prima scintilla che mi venne fu quella della pittura, dell’arte visiva. Inizialmente tenevo l’attività della consulenza come base per il sostentamento economico, e la pittura come strumento esplorativo di me stesso. Dopo due o tre anni è iniziata in me l’idea di ideare giochi in scatola. Sentivo che i tempi erano maturi per concretizzare quella passione che avevo fin dall’età di otto anni, e che poteva unirsi efficacemente con la conoscenza e la dimestichezza verso le logiche matematiche. Si trattava in poche parole di creare quella che amo definire l’ingegneria delle emozioni».

In che anno l’idea del primo gioco in scatola si è tramutata in realtà?
«Nel 2017 è nato Memoarrr! Prevede il coinvolgimento da due a quattro giocatori. Ed è stato un successo, dapprima in Germania, che è la patria del gioco in scatola, poi è stato distribuito in svariati paesi del mondo anche grazie alle piattaforme on line. In Italia le copie sono andate sold out in poco tempo. Ne abbiamo fatte varie ristampe, cinque delle quali solo in Germania. Complessivamente Memoarrr! Ha venduto circa 90.000 copie nel mondo».

Ma è un gioco per bambini oppure adulti?
«Io creo solo giochi per adulti. Portiamo l’esperienza ludica a un pubblico più maturo. Non che i bambini e i ragazzi non possano giocare, anzi mi risulta con piacere che lo facciano. Ma non sono giocattoli. Cerchiamo di sdoganare il fatto che il gioco in scatola sia solo per bambini».
Ci sono voluti quattro anni per creare un gioco, ma serve davvero così tanto tempo?
«Nel mio caso servono alcuni anni. La parte più difficile comincia con l’idea. Come credo per musicista, questa ti arriva anche in maniera inaspettata, e si inizia a portarla verso la realtà creando delle simulazioni, provandolo tu stesso o insieme agli altri. È indispensabile scegliere se spendere nuovi tempi ed energie oppure vale la pena di cassarla. Costantemente ho idee di giochi».

Quante ne scarta?
«Quasi tutte, penso di averne avute alcune centinaia. Parto da un’idea, ma se durante il suo processo di sviluppo intuisco che la qualità del prodotto per il giocatore non è soddisfacente, la cestino. D’altro canto nel mondo escono circa 3000 giochi all’anno. Di questi solo l’1 o 2 per cento ha successo. Gli altri vengono dimenticati. Bisogna cercare di entrare in quella nicchia. Solo pochi riescono a diventare e rimanere professionisti. Al mondo in questo settore siamo soltanto qualche centinaia Da qualche anno a questa parte però, specie dal periodo della pandemia in poi, vedo prospettive molto interessanti».


Difficile replicare lo straordinario successo di Memoarrr?
«Nel 2021 ho creato un secondo gioco, anche grazie a una campagna di crowdfunding, si intitola Riftforce e prevede due giocatori. Ha veduto circa 50.000 copie in tutto il mondo, ed è stato ulteriormente sviluppato in questo anno».

Progetti per il futuro?
«Una terza idea si sta concretizzando, e diventerà realtà fra qualche anno. In realtà in questo ultimo periodo sto facendo anche il coach in ambito educativo. Nel 2019 ho portato a termine un corso per diventare facilitatore di processi di crescita personale. Lavoro presso unazienda, ma ho anche clienti privati. Inoltre collaboro in modalità on line con una scuola di Palermo, con l’obiettivo di lenire l’incidenza della disoccupazione. La mia parte è mirata alla crescita personale di ogni studente e dei dipendenti della scuola, affinché ognuno trovi le risorse per esprimere se stesso e valorizzare la propria umanità. Ho uno staff di quattro persone, e facciamo laboratori sulla motivazione. Abbiamo studenti da diverse parti del mondo».

Tornerebbe a vivere ad Agordo?
«Amo il mio paese d’origine, la casa dove sono nato e la mia famiglia, ma Berlino per il mio lavoro è l’ambiente in cui attualmente credo. Un creativo non smette mai di cercare idee, e la relazione fa bene perché è il cuore del benessere. I periodi che trascorro ad Agordo certo mi fanno stare bene, ma il mio equilibrio è nella solitudine, che, sembra un paradosso, riesco a trovare maggiormente nella città tedesca».
 

Ultimo aggiornamento: 16:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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