Il giudice: «L'ha uccisa da vigliacco»

Martedì 8 Gennaio 2019
Il giudice: «L'ha uccisa da vigliacco»
MUSILE
«Antonio Ascione ha colpito la povera Maria Archetta Mennella in modo a dir poco vigliacco: ha provocato volontariamente la morte della moglie quand'era ancora a letto, all'interno della sua camera, nelle prime ore del mattino». Lo scrive, nelle motivazioni della sentenza depositate ieri, il giudice del Tribunale di Venezia Massimo Vicinanza. E queste parole riaprono a loro modo il caso del delitto consumato a Musile il 23 luglio del 2017, punito lo scorso ottobre con una pena di 20 anni in virtù dell'applicazione del rito abbreviato.
L'AVVOCATO BERARDI
«Parlerò con il pubblico ministero per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza, che penalmente non può proporre ricorso. Di sicuro, però, la impugnerò in sede civile», perché anche il risarcimento disposto dal giudice è scarno «e ben al di sotto di quanto stabilito dalle tabelle di Milano». A parlare è Alberto Berardi, l'avvocato di parte civile che assiste i familiari di Maria Archetta Mennella, uccisa dall'ex marito Antonio Ascione, all'alba del 23 luglio 2017, nell'appartamento che aveva preso in affitto a Musile di Piave. Il legale del Foro di Padova segue i familiari di Mariarca con la collaborazione dello Studio 3A di Mestre. Il commento arriva dopo che è stata depositata la sentenza con le motivazioni della condanna di Ascione a 20 anni: sarebbero stati, in realtà, 30, ma sono stati diminuiti in virtù del rito abbreviato. Si tratta del massimo della pena previsto della Legge. Poteva (e, secondo i familiari, doveva essere molto più severa) se il giudice avesse riconosciuto l'aggravante dei futili motivi e la premeditazione.
STRATEGIA
Per questo l'avvocato ha anticipato che chiederà un incontro al pm per capire come e se è possibile muoversi, tra le maglie legislative. «Il tema è esclusivamente tecnico spiega l'avvocato Berardi perché, essendo un abbreviato, l'appello può essere fatto solo nel caso di mutamento del titolo del reato da parte del giudice». C'è, comunque, una sorta di sentenza morale, nelle motivazioni che emergono, visto che il giudice del Tribunale di Venezia, usa toni molto duri nei confronti del pizzaiolo quarantacinquenne di Torre del Greco. Il dottor Vicinanza ha riconosciuto la sussistenza delle aggravanti del delitto commesso in danno del coniuge e della minorata difesa: «Di fatto la vittima non ha avuto alcuna possibilità di reazione, ne sono prova le modestissime e limitate ferite da difesa». Come detto, non ha invece ritenuto che sussistessero le altre due, i futili motivi e la premeditazione.
LE PAROLE DEL GIUDICE
Secondo il giudice «il motivo che ha spinto Ascione a uccidere la moglie non può considerarsi né lo sfogo pretestuoso di un impulso criminale avulso dal reato stesso, né sotto il profilo oggettivo, lieve o banale: una volta accertatosi della nuova relazione che aveva intrecciato la Mennella (con un collega di lavoro, ndr), e compreso che qualsiasi progetto di ripristino della relazione coniugale era impossibile, ha avuto l'impulso di uccidere e ad esso non si è sottratto».
Ed ancora, Ascione «ha agito in modo subdolo, perché da un lato ha mostrato di accettare la scelta della moglie di porre fine alla relazione coniugale, dall'altro non ha fatto altro che controllarne la vita, l'ha spiata, insultata, minacciata, l'ha ricattata anche utilizzando i figli minori, arrivando addirittura a perorare il suo licenziamento e quello di chi lavorava con lei». E «se l'azione delittuosa è stata caratterizzata dalla viltà, il comportamento successivo (l'invio di una lettera alla figlia con il pin del telefono della madre per consentire alla 15enne di controllare la nuova relazione della donna, ndr) si connota per riprovevolezza non solo morale, perché incide anche sul danno che già era stato provocato ai figli».
LA FAMIGLIA
Amaro il commento delle sorelle e del fratello di Maria Archetta: «Ascione non ha solo ammazzato in modo proditorio e brutale nostra sorella, ma le ha reso la vita un inferno, sia durante il matrimonio, sia dopo la separazione: la picchiava, non pagava gli alimenti per il mantenimento dei figli, causandole gravi difficoltà economiche, la controllava, la opprimeva, come uno stalker. L'assassino di Mariarca non meriterebbe l'ergastolo o quanto meno trent'anni di galera, ma scontandoli tutti, dal primo all'ultimo? E invece, dopo tutto quello che ha fatto, tra poco più di dieci anni potrebbe essere fuori».
Fabrizio Cibin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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