VENEZIA - La speranza è quella fiammella che in Anna è rimasta accesa per quarantadue anni. Erano le 20 dell’8 gennaio 1981: all’esterno della clinica ostetrico-ginecologica del Policlinico di Modena, Giorgio Montanari, primario della clinica, veniva ucciso con sette colpi di pistola. Ieri, dopo anni nei quali il fascicolo giudiziario era rimasto silente, a Venezia la signora Anna Ponti, 93 anni, moglie del dottor Montanari, ha ricevuto la notizia che l’inchiesta penale sull’omicidio del marito ha ripreso vita e in procura a Modena ci sono anche dei nomi iscritti sul registro degli indagati. «Ci ho sperato tutta la vita - dice Anna Ponti, al telefono - Il fatto che questa morte fosse rimasta per tanti anni senza una risposta è stato il tarlo della mia esistenza».
Anna - volto e nome conosciuto a Venezia se non altro per essere stata, tra le altre cose, presidente dell’Auser cittadino oltre che figlia del primo sindaco di Venezia, Giovanni Ponti, alla guida del Comune tra il 27 aprile 1945 e il 25 giugno 1946 - ha studiato a fondo il caso. «Ho dei sospetti su chi siano i responsabili, un’idea me la sono fatta e so i nomi dei protagonisti - ha detto, con forza - Mi aspettavo che prima o poi la giustizia arrivasse a un punto».
Nomi, lei, non ne fa.
A prendere corpo è quindi la pista interna all’ospedale modenese dove Montanari era primario della clinica di ostetricia, pista che la donna ha sempre sostenuto. La squadra mobile modenese avrebbe già ascoltato alcuni medici della struttura in qualità di persone informate dei fatti. E proprio all’interno dell’ambito sanitario la magistratura andò subito a cercare, nel 1981, l’assassino di Montanari, finora mai individuato. All’epoca dell’omicidio era infatti da poco entrata in vigore la legge sull’aborto e il professore aveva lasciato libertà di coscienza ai suoi collaboratori. Una decisione che aveva provocato anche malcontento al Policlinico e attriti tra i sanitari. Montanari aveva ricevuto minacce, comprese buste con proiettili, ed un suo collega, con il quale i rapporti non erano ottimali, finì indagato. «Era scomodo» ripete ancora Anna. Il caso Montanari rappresenta uno dei principali casi irrisolti della città emiliana, già oggetto di due archiviazioni (una nel 1991 e l’altra nel 2020 dopo la prima riapertura del 2017), la decisione della procura modenese di avviare un ulteriore filone, delegando la squadra mobile della polizia, deriverebbe dalla presenza di nuovi e ad ora non noti elementi, oltre alle tecnologie investigative a disposizione degli inquirenti.
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