VENEZIA - «Non conosco personalmente Luciano Donadio e Raffaele Buonanno. Noi avevamo referenti a disposizione nelle varie zone d'Italia e per la zona di Venezia c'era Michele Coppola e i cugini Cesare e Augusto Bianco che erano nostri affiliati». Affiliati e referenti in Veneto che, pronti a muoversi a ogni schioccare di dita da parte dei boss di Casal di Principe, in cambio potevano sfruttare il brand casalesi a loro piacimento. Una prassi emersa più volte nelle carte dell'inchiesta e nelle pieghe del processo a Luciano Donadio - presunto capo dei casalesi a Eraclea - e a tutto il suo clan. Quando c'era da intimidire, da far rigare dritto qualcuno eccola la frase, «Siamo casalesi», pronunciata in cambio di una devozione totale, a dimostrare in via indiretta anche quanto sostenuto dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini: che la mafia, in Veneto, era (è) presente.
LA STRUTTURA
NON LO CONOSCO
Ma di Donadio Nicola Schiavone ha più volte detto di non averne mai sentito parlare e di non averlo mai incontrato: «non è che il capo sa tutti i nomi degli affiliati - ha spiegato al tribunale - Sono circa cinquecento, noi abbiamo dei referenti in zona e sappiamo di poterci appoggiare a loro». In Veneto, quindi anche sul litorale (anche se Schiavone non ha mai parlato di Eraclea), i ganci erano i cugini Bianco. «Mi è stato riferito dai cugini Bianco che se fosse occorso potevo contare su di loro per operazioni in Veneto ma io non me ne sono mai interessato e non mi è occorso». E ancora: «Se un nostro gruppo referente mette qualcuno fuori regione non è obbligato a dirmelo fino a quando non si creano problemi e non c'è bisogno dell'intervento del capo - ha precisato il figlio di Sandokan - Nei Casalesi c'è sempre stata questa libertà: io sapevo solo che per interessi in Veneto dovevo chiamare i Bianco e loro si sarebbero attivati. Noi capi non siamo obbligati a sapere tutto. Donadio? Non c'era dipendenza diretta da me, non ho mai parlato con questa persona». A raccontare dei legami di Donadio con i cugini Bianco era stato il collaboratore di giustizia, Franco Bianco, che dal 1998 si era trasferito da Casal di Principe in Veneto per lavorare nel settore dell'edilizia e fu costretto a chiedere aiuto per delle difficoltà economiche. «A detta di Basile, Donadio faceva regali a Augusto e Cesare Bianco», aveva riferito al tribunale.
LA DEVOZIONE
Per sfruttare il brand casalesi, i referenti si mettevano a disposizione in tutto:« investimenti, latitanza, assunzione di affiliati - ha puntualizzato Schiavone - Sono cose che fanno parte dei piaceri che chi orbita nel clan fa: procurare armi, dare appoggio al nostro gruppo di fuoco se avevamo dei nemici. Insomma, appoggi a 360 gradi.
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