Processo ai casalesi, in aula parla Zamuner: «Voto di scambio, Mirco Mestre non c'entra, al boss chiesi aiuto io»

Venerdì 14 Ottobre 2022 di Nicola Munaro
Aula bunker,

ERACLEA - Dice Emanuele Zamuner - carrozziere di San Donà imputato nel processo ai casalesi di Eraclea per presunto voto di scambio tra l'ex sindaco Mirco Mestre e il boss dei casalesi Luciano Donadio - che lo stesso Mestre «sapeva» dei suoi contatti col boss per avere voti. «Ma non mi ha mandato - ha detto - Mestre mi ha detto che andava bene: grande Manu».

Secondo i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, Zamuner, nonostante fosse stato escluso dalla lista elettorale per le amministrative di Eraclea, si stava dando da fare per raccogliere consensi. Anche quelli di Donadio e del suo clan.

LA TESTIMONIANZA
Quanti voti? «Io cercavo di prendere più voti, io da Donadio pensavo 15-20, i famigliari» ha risposto Zamuner per poi spiegare che Donadio non gli disse mai quanti ne avrebbe potuti racimolare («non mi ricordo, io pensavo a quelli»). Salvo poi sentirsi contestare in aula, dal pm, che durante il suo interrogatorio in Procura, poco dopo la retata del febbraio 2019, Zamuner aveva detto: «A sentire Donadio si trattava di 80 voti», proprio quelli utili al bacino elettorale di Mestre. È ancora lui a raccontare come siano andate le cose in campagna elettorale, assolvendo - di fatto, a suo dire - il comportamento dell'allora candidato sindaco. «Mirco Mestre non mi ha mai mandato da Donadio, sono state parole che ho usato io - ha fatto mettere a verbale durante il suo esame - era un mio modo di dire, guarda che mi ha mandato Mirco, voglio precisarlo molto bene. Parole che ho detto per giustificarmi della mia esclusione (dalle liste elettorali, ndr). Quando sono stato in ufficio con Mestre e discusso di lavoro, io ho parlato tre volte di politica con lui, gli ho detto mi sto muovendo, sto portando i miei voti, ho nominato vari contatti, tra cui Donadio: Mestre mi ha sempre detto vai Manu, mi spronava». E nonostante in un'intercettazione ambientale del 27 maggio 2016 riletta ieri in aula, si fosse sentito Zamuner dire «Mestre mi ha detto parla tu con Luciano», ieri il carrozziere di San Donà con il pallino della politica ha detto: «Iniziai a distribuire i santini dopo il 20 maggio, li diedi anche a Donadio. Da Donadio sono andato di mia iniziativa». Ancora, replicando a chi lo metteva in contraddizione con quanto dichiarato in Procura, nel suo interrogatorio davanti al pm Terzo, Zamuner ha ribadito: «Mestre non mi ha mandato da Donadio».

«MAI PROMESSI SOLDI»
E rispondendo al controesame degli avvocati Zamuner ha chiarito che non erano stati promessi soldi in cambio di voti né che Donadio avesse mai «dato l'impressione» di voler subordinare la giunta al suo volere». Perché allora rivolgersi a lui nella questua del voto? «Mi sono rivolto a Donadio nella sua qualità di imprenditore - ha risposto - Con minore sforzo si potevano portare a casa più voti: una persona, quando mi ero candidato a San Donà, mi disse lascia stare il porta a porta» spiegando che era meglio tentare di far abboccare le imprese.
Zamuner sapeva anche dell'interesse di Donadio a realizzare un impianto di biogas a Stretti di Eraclea («mi dice quando vedi Mirco prova a parlarne, poi io non l'ho fatto») senza però interessarsene fino alla fine («io gli ho raccontato bugie, lui mi tartassava di telefonate, gli ho fatto nomi di dirigenti comunali che non esistevano, io poi non ho più saputo nulla»).

IL BOSS IN AULA
Se ottobre si concluderà con le parole del direttore di banca, Denis Poles, il 3 e il 10 novembre in aula bunker a Mestre comparirà per la sua testimonianza Luciano Donadio. «C'è la condizione di necessità di una partecipazione fisica - ha spiegato il giudice Stefano Manduzio -. Gli sono contestati la quasi totalità dei numerosi reati e la dimensione dell'esame non è comparabile con quella di alcun altro imputato».

Ultimo aggiornamento: 14:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA