La nuova direttrice: «Così mostrerò
al mondo i tesori dell'Accademia»

Mercoledì 19 Agosto 2015 di Alessandro Comin
Paola Marini
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La convocazione al Ministero è per il 5 ottobre, la piena operatività scatterà presumibilmente a novembre, ma Paola Marini non vede l’ora di cominciare l’impegnativa avventura di direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Nell’esporre i suoi progetti parla con un entusiasmo che fa rima con la schiettezza, senza nascondersi dietro troppe diplomazie. «Manager, supermanager? Ma certo, chiamateci pure così, lo siamo da tempo tutti noi di questa infornata. Organizzare l’autonomia dell’ente, cercare sponsor e visitatori non sono umiliazioni, ma mezzi indispensabili per centrare gli obiettivi di formazione all’arte, di diffusione del bello. E’ un meccanismo che mi sono già divertita a far funzionare a Verona e che a Venezia può essere ancora più dirompente».



Il suo curriculum è il giusto punto d’incontro tra le competenze specifiche di scuola e territorio e il respiro internazionale. Ma molte scelte del ministro Franceschini, dalla mancata conferma di dirigenti storici ai sette direttori esteri su venti, hanno suscitato polemiche.

«Il mondo ormai è questo. Se ci rallegriamo dei successi di un Finaldi a Londra, di un Salomon a New York, di un Gasparotto a Malibu, non vedo motivi di scandalo qui da noi. Piuttosto, mi dispiace un po’ non vedere più figure che hanno lavorato intensamente sul campo per anni. Una rappresentanza in questo senso sarebbe stata più armonica e avrebbe forse creato maggiore fiducia verso i nuovi arruolati».



Venezia è una realtà unica e fragile, l’Accademia ancora di più. Non teme che rimanga la "sorella debole" tra le altri grandi realtà cittadine?

«Ma il miracolo della resurrezione è già stato compiuto dall’allora sindaco Cacciari e da Tonci Foscari. E anche il lavoro di Renata Codello è stato fondamentale. Se pensiamo al declino di Brera, le nostre Gallerie non possono lamentarsi. E nemmeno io, che ho colto segnali di grande attenzione dalle più prestigiose realtà del mondo. Un patrimonio da non sprecare, intensificando i contatti, aprendo maggiormente alle università, inserendoci in un programma dialogato e condiviso con la Fondazione Cini, i Musei Civici, la Biennale. Un respiro mondiale ma con radici ben piantate nella realtà locale».



Il cui presidente, Paolo Baratta, oltre ad aver selezionato le terne per le nomine del ministero, ha recentemente esternato il sogno di un’Accademia vera scuola mondiale del restauro per la pittura veneta, con il coinvolgimento di giovani e sponsor.

«Sicuramente sono grata al presidente della nostra commissione e ogni suo consiglio è prezioso, soprattutto se si tratta di giovani. Detto questo, il laboratorio di restauro mi sembra già molto prestigioso. E’ vero comunque che i ricchi depositi della collezione abbisognano di interventi da mobilitare quanto prima. E bisogna anche riallestire l’area palladiana e sbloccare in fretta i fondi per ultimare il restauro della parte storica».



Condivide la linea di commistione con l’arte contemporanea che ha appena portato all’apertura alla mostra di Merz?

«Domanda insidiosa. Sicuramente l’arte contemporanea ci aiuta a leggere l’arte antica. Ma va avviata una riflessione per capire se sia veramente una strada da intraprendere o se siano opportune collaborazioni meno invasive. Tendenzialmente, non bisogna mai perdere la propria specificità. E’ ben vero che anche il Louvre e la National Gallery hanno vissuto incontri simili. Si tratta però di trovare equilibrio, anche perchè in casa abbiamo già una serie infinita di tesori da valorizzare».



(ha collaborato Massimo Rossignati)
Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 07:53

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