L'allenatore e i genitori ultras: «I ragazzi subiscono quello che sentono dalla tribuna, c'è bisogno di meno maleducazione»

Venerdì 14 Ottobre 2022 di Tomaso Borzomì
Genitori ultras, parla l'allenatore: "I ragazzi subiscono la trbuna"

VENEZIA - Seguire di più i giovani, arginare un po' di maleducazione, soprattutto da parte dei genitori invadenti e fare un po' più da psicologo. Il mestiere dell'allenatore di calcio giovanile è cambiato, richiede una preparazione diversa, oltre che la capacità di zittire i familiari: «I genitori fuori dal campo sono il male dei ragazzi, creano molta tensione che poi si portano sul campo, i figli sentono le critiche che arrivano dalla tribuna, assieme alle grida e agli insulti, così li si legittima a fare la stessa cosa, trasmettendo cultura e mentalità sbagliate».

A parlare è Francesco Bison, che dall'under13 è sempre stato al Venezia, prima di far parte di rose del Pordenone, San Donà e, appunto, Venezia, salvo poi finire la carriera tra i dilettanti. Oggi è responsabile dei portieri del Dolo-Pianiga, gestendo ragazzini che vanno dalla classe 2013 alla 2006.
«Dal piccolissimo al ragazzo di 17 anni ci si trova a confrontarsi con persone che hanno bisogno della chiacchierata, del conforto, spesso su situazioni personali e di gioco.

Ai miei tempi chi se lo sognava? L'allenatore arrivava in campo, faceva il suo e poi se ne andava». A cambiare è stato anche il contesto storico: «Senza generalizzare, perché non tutti i ragazzi sono uguali, oggi i genitori lavorano di più, vedono meno i figli, che stanno quasi di più con noi. Traspare una maleducazione non in tutti, ma c'è chi si sente libero di fare un po' quello che vuole, forse perché c'è libertà da parte dei familiari, ma di fatto c'è che sono meno seguiti».

E poi ci sono allenatori e allenatori: «Nella mia carriera non ho mai avuto nessuno che istigasse alla violenza, ho frequentato società fatte di persone intelligenti, e anche oggi, qui, ora che siamo centro tecnico Milan, non potremmo minimamente pensarci a situazioni poco chiare». Per l'ex portiere non è giusto nemmeno cercare alibi nel covid: «I problemi c'erano anche prima, lo dico a pelle perché non sono preparato per rispondere scientificamente. Quello che ho notato è che il ragazzino alla prima difficoltà resta a casa, nei due anni l'attività fisica si è bloccata, ma all'aperto continua. Con nebbia o pioggia si tende a lasciare a casa, i giovani hanno perso il sistema di relazioni, quando non c'era lo spogliatoio, si arrivava e poi si andava via».

Fattori che in parte sono rimasti come retaggio: «C'è qualche strascico, se piove per due giorni un genitore lascia a casa il figlio per paura che si ammali». Per quello che riguarda invece la cattiveria, gli infortuni sono sempre esistiti: «Ora sono mediatici e social, può essere che ci sia un maggior risalto di questi episodi, dopo, il perché succeda sinceramente deriva da diverse cause, sicuramente alla base c'è un po' di nervosismo, poca serenità, mi viene da pensare che sia dovuto a un malessere generale. Ad alcuni ragazzi che potrebbero aver problemi senza esser seguiti, alcune situazioni possono far scaturire qualche situazione limite».

Il riflesso è quello della società di oggi: «Quando c'è malessere, quando si vive male la società, ci possono essere attriti. Qui è difficile che capiti, perché i giovani si conoscono, vuoi perché vanno a scuola assieme, ma con le difficoltà lavorative, economiche, ecco che i giovani ne possono risentire». Da ultimo, Bison torna sui genitori e il loro ruolo: «Quando si va sotto i dodici anni il ragazzino viene difeso sempre dai familiari. Ci sono arbitri che non sono neanche maggiorenni che devono gestire una gara e ne senti di tutti i colori, si genera tensione, che poi si porta in campo. Bisogna lasciare che i ragazzi si divertano, non creare aspettative e pressioni, perché sono cose che non hanno senso».

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 20:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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