Rom, dopo il pestaggio del sindaco anche Montebelluna non li vuole

Sabato 17 Agosto 2019 di Laura Bon
Rom, dopo il pestaggio del sindaco anche Montebelluna non li vuole
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TREVISO - Caerano non vuole i Rom dopo il pestaggio al sindaco Precoma. Ma nemmeno Montebelluna intende accoglierli. Lo spiega il sindaco Marzio Favero: «Caerano e Montebelluna rappresentano un'unica entità urbana. Allontanare i nomadi da un centro e non dall'altro è come spostarli da un quartiere all'altro di una stessa città».


Di fronte alla scelta del questore Vito Montaruli di vietare Caerano ai nomadi responsabili dell'assalto al sindaco Gianni Precoma non ha alcun dubbio: se non possono stare a Caerano non ha alcun senso che stazionino a Montebelluna, dove si sono spostati nel park di via Sansovino, a loro più che mai noto. «Da decenni - dice Favero - i nomadi si trasferiscono da Caerano a Montebelluna con modalità che si ripetono costanti. In sostanza, sulla base di un divieto di campeggio che risale ai tempi della Puppato, dopo qualche giorno che occupano un'area e la gente protesta, arriva l'ordinanza dei vigili, che li fa spostare altrove. Dove, però, la storia si ripete in una sorta di giro dell'oca». E il tutto non ha mai portato, finora, a situazioni di pericolo. «Tutte le amministrazioni che si sono  succedute negli ultimi trent'anni sono state tolleranti e la situazione in qualche modo è stata gestita, ma purtroppo l'episodio dei giorni scorsi dimostra che il quadro non è più sotto controllo. Ora, quindi, dopo un episodio grave come quello accaduto al sindaco Precoma, bisogna intervenire, allontanandoli non solo da Caerano, ma anche dalle aree limitrofe».
L'INVITOLa situazione rischia di sfuggire di mano, anche alla luce delle dichiarazioni che circolano sul web, con minacce e insulti ai nomadi e propositi di manifestazioni di protesta. «Dobbiamo fare attenzione - dice Favero - che gli animi non si accendano troppo. Servono un processo veloce e una soluzione chiara. Faccio anche presente che l'ordine pubblico non è di competenza dei sindaci ma dello Stato che agisce attraverso magistratura, questura, polizia e carabinieri». E conclude: «Ciò che è successo a Precoma è estremamente grave anche perché Gianni non è un sindaco sceriffo, ma una persona umile e mite che cerca di risolvere i problemi con buon senso. È sempre stato un uomo che ha invitato alla calma e a riflettere. Che i nomadi avessero bevuto è solo un'aggravante».
LA DIFFIDAIntanto, fa discutere la notizia della diffida inoltrata dall'Associazione nazionale Rom al ministro dell'interno Matteo Salvini, al presidente del Veneto Luca Zaia e ad alcuni sindaci del trevigiano per il mancato rispetto degli accordi europei e della strategia nazionale di inclusione di Rom, Sinti e Camminanti (Rsc), per i quali le autorità italiane ricevono dall'Unione europea specifici fondi strutturali. «Non mi sorprende - dice Roberto Ciambetti, commissario provinciale della Lega a Treviso - Rientra nella strategia per la quale la miglior difesa è l'attacco. Il primo e decisivo passo verso l'inclusione è il rispetto delle norme della civile convivenza, a iniziare dalle più elementari compreso il rispetto della proprietà privata altrui e il rifiuto del furto e dell'illegalità come modus vivendi. Il rispetto della legalità è una pre-condizione necessaria. Chi vuole essere incluso deve accettare le regole, cosa che a Caerano San Marco, con il pestaggio del sindaco, non mi sembra essere accaduto». Poi, aggiunge: «Purtroppo anni e anni di buonismo non hanno favorito la diffusione della cultura della legalità tra Rom e Sinti, anzi, in molti casi hanno alimentato anche un certo vittimismo lamentoso per cui saremmo noi i responsabili della loro situazione di minoranza perseguitata. Ora, da quando si è invertita la rotta grazie a Matteo Salvini e si è detto a chiare lettere che l'Italia non è più il Bengodi dei delinquenti per cui la pacchia è finita, il clima attorno a chi non rispetta la legge è mutato. Chi vuole stare nel nostro Paese accetti e rispetti le nostre leggi. In caso contrario, può sempre andarsene via».
Laura Bon

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