Profughi, il pasticcio delle false dichiarazioni di ospitalità. Il caso a Treviso: costretti a pagare 100-200 euro per l'attestato

Martedì 26 Settembre 2023 di Angela Pederiva
Questura, ufficio immigrazione (foto di repertorio)

TREVISO  -  Mentre infuriano le polemiche sulla garanzia finanziaria da 4.938 euro, diventa un caso un altro adempimento burocratico a carico dei migranti. Si tratta della dichiarazione di ospitalità, prescritta pressoché da tutte le Questure ai richiedenti asilo, nel momento in cui presentano la domanda di protezione internazionale. Ormai diversi giudici anche del Veneto, sia civili che penali, hanno sancito l’illegittimità di quell’imposizione da parte della pubblica amministrazione, attorno a cui peraltro è concreto il rischio di affari illeciti: lo dimostra il procedimento giudiziario incardinato al Tribunale di Treviso, dove in sei fra italiani e stranieri sono accusati di aver lucrato sulle false attestazioni, mentre sono stati assolti i cinque immigrati che le avevano utilizzate.

LA PRASSI
In sostanza funziona così.

L’aspirante profugo arriva in Italia e compila la domanda di protezione in Questura, la quale (secondo una prassi diffusa un po’ in tutto il territorio nazionale) esige che venga presentata una dichiarazione di ospitalità, cioè una prova scritta del fatto che il soggetto vive nel territorio di competenza di quell’ufficio. Per chi fruisce di una misura di accoglienza, come succede quando si sbarca a Lampedusa e si viene accompagnati in una struttura, il problema non si pone: è il centro a rilasciare quella certificazione. Ma non tutti hanno questa possibilità, basti pensare ad esempio a cosa accade con gli ingressi incontrollati a Nordest dalla rotta balcanica, per cui capita di ritrovarsi a vivere senza fissa dimora. In assenza di quella carta, però, la richiesta di asilo non va avanti e il permesso di soggiorno temporaneo non viene rilasciato. Così può capitare quello che si è verificato a Treviso, secondo l’inchiesta della Procura avviata dopo la segnalazione dell’ufficio Immigrazione e gli accertamenti della Squadra mobile, scattati ancora cinque anni fa.

L’ANOMALO FLUSSO
Come spiegato dalla Polizia di Stato, i sospetti erano scaturiti dall’analisi di un anomalo flusso di richieste di ospitalità dirette tutte verso le stesse residenze, «case disabitate o di ignare famiglie trevigiane», fra marzo e maggio del 2018. Per dire: in un casolare diroccato in periferia, lungo una laterale della Noalese, risultava alloggiare una trentina di uomini provenienti dal Pachistan e dal Bangladesh, tutti in attesa del responso della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. A “garantire” per loro sarebbe stato un calabrese, che a sua volta figurava risiedere nell’edificio abbandonato, il quale insieme ad un trentino e ad un pachistano avrebbe incassato «somme oscillanti tra i 100 e 200 euro» da ciascuno dei finti ospiti, intercettandoli nei pressi della stessa Questura. 

LA PUNIBILITÀ
Al termine delle indagini, erano stati identificate in tutto dodici persone, tanto che era stato chiesto il rinvio a giudizio sia per i compilatori che per i fruitori delle fasulle dichiarazioni di ospitalità. Dopo lo stralcio di alcune posizioni, il processo è proseguito per i presunti autori, mentre i cinque richiedenti asilo sono stati assolti in abbreviato «perché il fatto non sussiste», come sollecitato dagli avvocati Isabella Arena, Sabrina Dei Rossi, Francesco Tartini, Valentina Verdini e Roberta De Simone. Nelle motivazioni della sentenza, il giudice per l’udienza preliminare Marco Biagetti ha rilevato che il Testo unico sull’immigrazione del 1998, citato dalla Procura, prevede la punibilità delle ipotesi di falsificazione di documenti «esclusivamente» con riferimento alle procedure di rilascio di visto di ingresso o reingresso, permesso di soggiorno, contratto di soggiorno o carta di soggiorno. Invece la richiesta di protezione internazionale è disciplinata dal decreto in materia del 2008, il quale non contempla nessun «obbligo di presentazione di una “dichiarazione di ospitalità” rilasciata da terzi». Come già sentenziato da altri Tribunali, fra cui quello di Venezia attraverso la Sezione specializzata in materia di immigrazione, tale pretesa amministrativa è stata dunque considerata illegittima. Ciononostante il “balzello” è stato sfruttato illegalmente dagli approfittatori, i quali per il gup Biagetti hanno compilato l’attestazione «dietro pagamento di una somma di denaro», mentre i beneficiari hanno impiegato il documento «in buona fede, non essendo stata provata la consapevolezza di questi della falsità stessa».
 

Ultimo aggiornamento: 17:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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