Treviso. Lavoro, record di dimissioni tra i giovani: cresce la mobilità e non è una questione di soldi

A fine anno verrà ritoccato il record di 36.065 dimissionari toccato in tutto il 2021

Sabato 3 Dicembre 2022 di Mattia Zanardo
Crescono le dimissioni tra i giovani (foto d'archivio)

TREVISO - Tra gennaio e giugno se ne sono andati in quasi 22mila. Soprattutto giovani: uno su sei ha già cambiato lavoro nell'ultimo anno. Ma sono destinati a diventare molti di più: quasi metà dei lavoratori under 35 sta cercando o ha in mente di trovarsi un nuovo impiego. Con obiettivi e aspirazioni spesso diverse dai propri colleghi più anziani. Scoppiato negli Stati Uniti all'indomani del culmine della pandemia, il fenomeno delle grandi dimissioni è ormai una realtà anche nelle aziende della Marca. Nei primi sei mesi dell'anno in corso, già 21.290 persone hanno lasciato volontariamente il proprio posto di lavoro (cioè senza essere licenziate): se l'andamento proseguirà di questo passo, come prevedibile, a fine anno verrà ritoccato il record di 36.065 dimissionari toccato in tutto il 2021.

Il parziale del semestre, del resto, è già ora superiore alle intere annualità registrate fino alla prima metà del decennio scorso.

Cresce la mobilità

Cosa c'è, dunque, dietro a tale fuga di massa? O meglio, a questo intenso e continuo turnover, visto che, secondo Veneto Lavoro, la grande maggioranza di questi addetti trova una nuova occupazione nel giro di una settimana o poco più? Ha provato a dare una risposta la Cisl di Belluno e Treviso, con un'indagine che ha coinvolto oltre 2.500 utenti del Caf del sindacato, curata da Francesco Peron e Stefano Dal Pra Caputo, ricercatori della Fondazione Corazzin e dell'Ufficio studi della Cisl. Il primo dato ad emergere è proprio la crescente mobilità del mercato del lavoro: il 44% del campione, infatti, ha già cambiato occupazione o vorrebbe cambiarla entro dodici mesi. Una discontinuità che aumenta al diminuire dell'età: al di sotto dei 35 anni, il 15,6% ha trovato un impiego diverso, il 17,5% lo sta cercando attivamente e il 30% è intenzionato a cominciare la ricerca a breve. Insomma, oltre sei giovani su dieci, se non hanno già variato, sono pronti a farlo.

Non è solo una questione di soldi

La volontà di cambiamento è più sentita nel comparto trasporti e magazzinaggio (55,7% del totale), ma anche nella ricettività e ristorazione (53,4%) o nella sanità e assistenza sociale (44,7%), mentre i meno propensi sono insegnanti e altro personale dell'istruzione (20%). Pur volendo cambiare, tuttavia, il 43% rimarrebbe nello stesso settore, a conferma, spiegano i responsabili della ricerca, che più della professione in sé, vanno strette le attuali condizioni di lavoro. Non a caso, a fronte di un 19% molto soddisfatto e di un 51% abbastanza, più del 30% degli addetti è poco o per nulla appagato dalla propria occupazione. E non si tratta solo di una questione di soldi. Certo, alla domanda su cosa vorrebbe migliorare rispetto alla situazione presente, la maggioranza dei partecipanti alla rilevazione - il 65% - risponde il salario. Però contano anche molti altri aspetti, soprattutto per i giovani: disponibilità di tempo libero, percorsi di crescita professionale, benefici aziendali. Proprio qui, anzi, emerge il differente approccio al lavoro tra le nuove generazioni e le precedenti: il 23% degli under 35, ad esempio, aspira a poter trascorrere più tempo fuori dall'ufficio o dalla fabbrica contro il 17% delle fasce anagrafiche superiori, il 24% guarda alle possibilità di carriera contro il 16%, la stessa percentuale valuta importante l'orario flessibile contro l'11%. Ulteriore conferma? Due terzi (66%) di quanti non hanno ancora compiuto 36 anni accetterebbero senza troppi problemi di operare in smart working (a tempo pieno o per una parte di orario). Tra gli altri lavoratori i favorevoli non raggiungono il 45%. Così come, in futuro e in un nuovo eventuale impiego, il 70,3% dei giovani non sarebbe disposto a lavorare anche di domenica, sacrificio escluso invece dal 65,8% di chi ha un'età maggiore. Sarà forse anche perché, almeno stando alle dichiarazioni degli intervistati, in circa un quarto dei casi le ore supplementari effettuate non vengono pagate. Il tema degli orari segnala pure un altro divario, questa volta di genere: il 22% delle lavoratrici (a fronte del 19% dei maschi) preferirebbe non fare straordinari. Più che la volontà, spiegano dalla Cisl, incide tuttavia l'impossibilità oggettiva, dovendo le donne farsi spesso carico dopo il lavoro di figli, genitori anziani, gestione domestica. 

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