TREVISO - Giovanni Lazzarin, il Nonno Nanni originale, nel secondo dopoguerra diede vita ad un caseificio artigianale. I suoi tre figli, Luigi, Armando e Bruno, dagli anni 70 in poi, lo svilupparono in una grande industria. Oggi alla guida della Latteria Montello, produttrice del celebre stracchino dedicato al fondatore e uno dei maggiori gruppi italiani nel settore dei formaggi, ci sono i sette nipoti. Ma già si approssima la quarta generazione della famiglia: venti discendenti, alcuni già trentenni, altri ancora bambini. «Se dovessero entrare tutti di default, in azienda lavorerebbero solo Lazzarin», ride Gianni Lazzarin, uno dei sette comproprietari e attuale amministratore delegato. Non a caso, lui e i cugini hanno deciso di definire con largo anticipo questo passaggio generazionale con un vero e proprio protocollo: «Finora ci siamo suddivisi ruoli e competenze, anche in base alla nostra formazione scolastica. Alcuni dei nostri figli già hanno scelto altre strade professionali. Per chi vorrà restare in azienda, abbiamo stabilito regole chiare e sottoscritte da tutti: finire l'università, con certi voti, sapere l'inglese, fare comunque un'esperienza lavorativa preliminare all'esterno».
LA RIFLESSIONE
In questo senso, Latteria Montello rappresenta un esempio della vitalità del capitalismo familiare, ma anche delle sfide che questo tipo di imprese deve affrontare.
IL FUTURO
«Nei prossimi 20 anni oltre 400 miliardi di patrimonio mobiliare italiano sarà coinvolto nel passaggio generazionale e solo un quarto degli imprenditori ha pianificato la successione» aggiunge Michele Saletti, di Tempora Tax. La prima "buccia di banana" è confondere le logiche familiari (in cui l'uguaglianza tra i membri è un valore auspicabile) con quelle aziendali (necessariamente basate su merito ed efficienza). Rischio che spesso aumenta con l'uscita di scena dei capofamiglia carismatici, con conseguenze per il rendimento dell'impresa stessa. Ecco allora che diventa fondamentale adottare per tempo strumenti, come i patti familiari o i consigli di famiglia, per evitare sovrapposizioni tra i ruoli di socio-azionista e quelli operativi, regolare i comportamenti in azienda, gestire ingressi e carriere di figli, coniugi o altri parenti, come ricordano Luca Petoletti e Francesco Massignani di Ambrosetti. Così come sono fondamentali la trasparenza e l'informazione: «Quando si parla di capitalismo familiare - conferma Auro Palomba, fondatore e Ad della società specializzata Community, che ha moderato l'incontro - viene spesso sottovalutato il tema della comunicazione, con il rischio che si abdichi alle regole base in nome del mantenimento di un buon rapporto' tra i membri della famiglia. La parola chiave in questi casi deve essere chiarezza, perché se non c'è chiarezza all'interno traspare all'esterno».