Veneto, lingua o dialetto. Il tesoro del parlato locale racchiuso nel Lessico di Cortelazzo

Giovedì 2 Gennaio 2020 di Adriano Favaro
Veneto, lingua o dialetto. Il tesoro del parlato locale racchiuso nel Lessico di Cortelazzo
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Dialetto o lingua veneta. Pubblicato il Lessico veneto contemporaneo di Manlio Cortelazzo, scomparso nel 2006, che fu il maggiore studioso del dialetto. Un viaggio nella tradizione e nei modi di dire con un forte richiamo all'etimologia e alla storia delle parole in un àmbito regionale La dialettologa Gianna Marcato: «Fu ricercatore straordinario capace di unire il gergo popolare con la ricerca letteraria e sociale»


Fragili come alcuni suoni o bolle d'aria le parole del dialetto. E molte, moltissime, più che avere radici certe sembrano come diceva Andrea Zanzotto arrivare come vertigine del passato. Leggete di seguito: àgola, alba (no, niente a che fare con le prime luci del dì), almato, ana, aneda, arcoverzare, ardalighe, ascaro, àvega. Tanti di noi non conosceranno il significato ma questi termini dialettali sono tutti legati da una sola comune questione: non si sa ancora da dove arrivino. Etimologia incerta, radici profonde, misteriose, vertigini del passato appunto. 

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L'INDAGINE
Parole che stanno sulla strada che ha percorso per decenni Manlio Cortelazzo (padovano, uno dei padri della dialettologia, scomparso nel 2009) con la rivista Quatro ciàcoe e che adesso la nipote Anna Cortelazzo ha raccolto in un volume Lessico veneto contemporaneo (Esedra editrice, 23 euro); 1500 voci in ordine alfabetico. Opera che è come la radiografia dell'anima nascente, sorgiva di una regione fatta da uno studioso che come ricorda una delle sue allieve più nota, Gianna Marcato, già docente di dialettologia a Padova- «aveva un'enorme apertura, una tecnica favolosa nel capire e spiegare qualsiasi forma del dialetto; e sapeva come servisse studiare letteratura, teatro e commedia; e le lingue del 500 che capire quanto composita fosse la società».

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IL TESORO
Per cercare di capire che tesoro abbia raccolto il lavoro di Cortelazzo, che si è attorniato di decine di collaboratori, ecco solo due esempi. Per àgana - è Rita Donà a spiegare questa parola (1999) riferendosi alle bovine per l'aratura - si legge: «'e faséa on poco conbàtare 'e prime 'àgane e dopo 'e se calmava da soe». Crediamo di interpretare bene riconoscendo in 'àgane le làgane o làghene, cioè i solchi, come sono chiamati in una ristretta area della Bassa Padovana (Montagnanese), tanto di chiaro significato, quanto di oscura provenienza. 
E ancora con àgola, scrive sempre Cortelazzo: Mario Galdiolo ci sorprende per àgola: «el vegneva libarà, forse co quatro àgole» (2002). Mario Klein ce ne dà la spiegazione: colpo energico dato con la mano, ma neanche Luigi Nardo, che pur ha dedicato un fitto libretto alle bòte da orbi, la contempla. Né migliore fortuna abbiamo avuto con l'accesso ad altri strumenti. Un mistero fitto.

IL PARERE DELL'ESPERTA
«È il destino della lingua parlata come il dialetto spiega Gianna Marcato, studiosa che ha dedicato la carriera alla ricerca delle origini delle parole locali dell'etimologia popolare che spessissimo non ha attestazioni scritte. La cultura orale fa fatica a trovare punti fermi; e la cultura linguistica orale soprattutto nelle locuzioni, gruppo di parole in relazione tra loro crea le sue forme su un inventore che è spesso solitario. Ma che ha fortuna, come ora nei capocordata di Facebook. Nel Miranese si dice essere arrabbiato come le ave de baruzzo, cioè le api di uno che per cognome faceva Baruzzo. Ma come si fa a risalire all'origine di questa formula? O come quella di menega provvisoria. Una donna menega, Domenica che, in miseria, a 90 anni viveva in casa di benestanti (come si usava) affermando dignitosamente che era lì provvisoriamente. Questo risale all'Ottocento e fa parte della lingua orale; origine insondabile».

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L'IDIOMA POPOLARE
Così Manlio Cortelazzo prende quell'idioma natío - che Zanzotto definiva sovrabbondare sorgivo o stagnare ambiguo senza usare approssimazioni o innamorarsi di nostalgie etimologiche. Scava, ascolta, respira quegli umori bellissimi che sanno sempre di lavori, attività, culture antiche; ma che in alcuni casi attraversano ancora la memoria di tantissimi dei lettori che sanno che carbona, in veneziano, si usa per abitazione. 
Il lavoro del dialettologo Cortelazzo esplora aree culturali così ampie che basta una sola parola come bosegato a lasciare a bocca aperta. Bosegato vuol dire maiale (area emiliano/polesana) ma è vicino anche a un tipo di cefalo bósega. Cosa accumuna i due animali? Lo spiega l'etimologia, ricorda lo studioso: entrambi i nomi risalgono a un verbo dialettale, oggi di scarsa vitalità, corrispondente all'italiano bucicare (preso dai dialetti), cioè bucare, e allude tanto all'abitudine di grufolare, propria del maiale, quanto a quella del cefalo di cercare il cibo sul fondo (tanto è vero che è chiamato a Bari vrago e a Napoli varaco, dallo spagnolo verraco, varraco, porco). Il verro dei romani.
Un divertimento. Come quelle parole-marketing che l'editore propone in quarta di copertina: da andegaro a bacajare, da betonega a brodo de zisole, e poi a cataùra, desalìo, ingiotaùro, ludro, magnifica, maroele, morejeta, pegno, petachin, pontego, rosaria, sandón, sberegare, sbrindola, sgabotare, sidiare, soturco, verta. Belle. Come e forse di più delle tracce di un giallo di Agatha Mary Clarissa Christie. O comunque l'occasione per conoscere più da vicino la lingua popolare, vero veicolo di dialogo tra le popolazioni venete. C'è qui tutta la sfida per dare senso ad un'antica tradizione e dignità culturale.
Adriano Favaro 

Ultimo aggiornamento: 3 Gennaio, 12:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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